Il racconto I sette messaggeri di Dino Buzzati (San Pellegrino, 1906 – Milano, 1972) fu pubblicato per la prima volta nel 1942 nella raccolta omonima.
Un principe poco più che trentenne parte alla ricerca dei confini del regno di suo padre e porta con sé sette messaggeri ai quali si affida per mantenere i contatti con la capitale. Sono trascorsi otto anni e mezzo quando il protagonista, tirando le somme del viaggio compiuto fino a quel momento, deve riconoscere che i confini del regno sono evidentemente irraggiungibili, mentre i contatti con la città sono diventati sempre più radi a causa della distanza crescente.
La chiave di lettura del racconto è evidentemente simbolica, come nel celeberrimo romanzo dello stesso autore Il deserto dei Tartari (1940 – una recensione si può leggere qui): l’uomo è dolorosamente costretto ad ammettere che il senso ultimo della vita gli resterà per sempre sconosciuto. Il racconto presenta però immagini e toni molto più suggestivi e struggenti rispetto alla desolazione deprimente che domina nel romanzo. E soprattutto, mi pare, è diverso l’atteggiamento dei due protagonisti. Giovanni Drogo, nel Deserto dei Tartari, resta in attesa – si potrebbe aggiungere: passivamente; al contrario, il principe dei Sette messaggeri va alla ricerca di qualcosa e non rinuncia al viaggio, neppure di fronte all’evidenza della sua inutilità, in una orgogliosa affermazione di sé.
Forse è perfino possibile spingersi oltre nell’interpretazione. Mi piace leggere nel protagonista del racconto una reazione positiva alla consapevolezza dell’impotenza: la ricerca diventa essa stessa il senso, l’unico possibile, ma sufficiente a dare dignità all’esistenza.
Buzzati mi lascia incantata: io non ho trovato nessu autore del ‘900 italiano che sappia trasportare così magnificamente il lettore in mondi bellissimi, anche se tristi. Quando penso a lui mi viene in mente il termine “narrativa onirica”, o narrativa lirica.
Ma il mio preferito resta “Il segreto del bosco vecchio”, con le tavole dipinte di suo pugno, che splendore
Io devo ammettere che dopo aver letto “Il deserto dei Tartari” non ho sentito il desiderio di leggere altro, perché quel romanzo mi aveva lasciato addosso un senso di desolazione. Il racconto dei “Sette messaggeri” l’ho poi “incrociato” per caso e l’ho amato molto, nella sua essenzialità, per quel suo carattere onirico, come dici tu, in questo caso non desolante. Devo riprovare con “Il segreto del bosco vecchio”. :)
E’ vero, il “Deserto” alla fine lascia un senso di desolazione, però a mio avviso compensato dalla bellezza delle immagini e degli scenari naturali descritti, inoltre la poetica credo rientri pienamente nel neorealismo italiano del postguerra, quando la gente, e con essa gli scrittori, aveva ormai sperimentato il trauma della violenza umana più terribile.
[…] classificato, I sette messaggeri di Dino […]
[…] davvero dei piccoli gioielli. A cominciare da quelle che davano il titolo alle tre raccolte citate. I sette messaggeri introduce il lettore in un’atmosfera sospesa, onirica, a tratti angosciosa, tipica di tante altre […]