Quaderni di Serafino Gubbio operatore – Luigi Pirandello

Raramente recensisco i “classici”, su cui esiste così vasta bibliografia critica che francamente non si potrebbe aggiungere nulla. Ma alcune opere “classiche” sono meno note di altre, perché surclassate da quelle più celebri; e allora scrivere due righe a distanza di un secolo o più può avere un suo senso. Ed eccomi così ai Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915) di Luigi Pirandello, uno dei nomi più grandi, e anche discussi, della nostra letteratura tra Ottocento e Novecento.

Serafino Gubbio, di origini campane, lavora a Roma come cineoperatore per la casa di produzione Kosmograph e si trova coinvolto in una torbida storia di passione e morte che coinvolge l’attrice Varia Nestoroff e gli uomini che la circondano, in particolare Aldo Nuti e Carlo Ferro.

La vicenda narrata può ricordare un intreccio da feuilleton di infimo livello, con una femme fatale al centro e uomini che di fronte a lei si rivelano succubi e fragili. In realtà, però, come sempre accade in Pirandello, la trama è un pretesto per dire altro. In questo romanzo, che nulla ha da invidiare ai più celebri Il fu Mattia Pascal e Uno nessuno e centomila, tutto è filtrato attraverso l’occhio (d)e(l)la telecamera dell’operatore Serafino, che diventa la coscienza critica sempre più distaccata e impietosa delle miserie umane. Inizialmente Serafino alterna lo sguardo impassibile del cineoperatore addetto a girare la manovella e lo sguardo dell’uomo che non ha perso la speranza di stabilire legami umani; il dramma grottesco che si consuma a poco a poco davanti ai suoi occhi e davanti alla telecamera lo convince a chiudersi completamente a qualunque rapporto umano, diventato tutt’uno ormai con la macchina e impermeabile al dolore.

La “macchina” domina in effetti il romanzo, dall’inizio alla fine: Serafino la detesta, vede infatti in essa la negazione dell’umanità, il progresso tecnologico sta a suo dire uccidendo l’umanità, la spontaneità, la bellezza tramutando tutto in finzione, arrivismo, egoismo. Il libro si rivela quindi l’opera di uno scrittore che guardava con molta diffidenza al progresso scientifico e tecnologico: mentre il contemporaneo D’Annunzio esorcizzava la paura di fronte all’ignoto della macchina vestendola di panni mitici e di esaltazione superomistica, mentre i contemporanei ma più giovani Futuristi celebravano la macchina e il progresso convinti della portata rivoluzionaria positiva del progresso; Pirandello, attraverso Serafino certamente suo alter ego, confessa tutto il suo disprezzo nei confronti del nuovo.

Trascorsi più di cento anni dalla pubblicazione del romanzo pirandelliano (che inizialmente era stato intitolato Si gira!, la frase del regista sul set ma anche il soprannome di Serafino nell’opera), la riflessione sull’impatto del progresso tecnologico sulle nostre vite è diverso nei termini ma non nella sostanza. Quando lamentiamo che i nostri giovani (ma non soltanto loro) si alienano immergendosi nella realtà virtuale, perdendo il contatto con la realtà e mortificando le relazioni umane autentiche, in effetti non diciamo nulla di molto diverso da quello che Pirandello/Serafino affermava allora. E d’altra parte, se torniamo ancora più indietro nel tempo e scopriamo la diffidenza di grandissimi scrittori come Niccolò Machiavelli nei confronti della recente invenzione della stampa, ci rendiamo conto che la paura nei confronti del nuovo accompagna l’uomo da sempre e, se le nuove generazioni sono (come è perfino ovvio) più aperte alle innovazioni e in genere entusiaste, sono per lo più le vecchie generazioni a gridare alla fine del mondo.

Il discorso è immenso e rischia di diventare perfino semplicistico: abbiamo tutti sotto gli occhi i vantaggi del progresso tecnologico in termini di comodità del vivere e velocità nello svolgimento dei compiti, come conosciamo perfettamente i risvolti drammatici della devastazione della natura e della alienazione nella macchina. Il miglior risvolto della rilettura dei diari di Serafino oggi dovrebbe essere proprio un’ennesima, non banale, possibilmente scevra di preconcetti, riflessione sul progresso tecnologico, sui vantaggi che comporta e sui danni che può produrre: urgente certamente oggi più che mai, di fronte ad una catastrofe ambientale che sembra avvicinarsi inesorabilmente e ai danni prodotti dalla manipolazione potenzialmente assoluta dell’informazione che le nuove tecnologie comportano; in questo nostro tempo in cui però la vita media si è incredibilmente allungata grazie ai progressi in campo medico, in cui un clic può metterci a disposizione quasi ogni informazione che un tempo bisognava ricercare con fatica nelle biblioteche polverose e sperdute ai quattro angoli del mondo.

La tecnologia in sé non è il male; lo diventa quando è asservita all’interesse economico di pochi, alla manipolazione dell’opinione pubblica, quando interi popoli vengono tagliati fuori dai vantaggi del progresso, quando la gestione del progresso resta miope o indifferente di fronte a risvolti ambientali drammatici. Questa è la vera battaglia, che Serafino non ha visto e non poteva vedere; ma che oggi è urgente e necessaria.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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