Il sosia – Dostoevskij

“[…]egli se ne restò disteso immobile nel suo letto, come se non fosse tuttora pienamente certo di essersi destato o di non stare ancora dormendo, e come in dubbio se tutto ciò che lo circondava gli apparisse nella veglia della realtà o non fosse piuttosto il prolungamento delle sue sconclusionate fantasie notturne”.

L’incipit di questo romanzo incide già su tutto il suo sviluppo, in quanto coglie, con poche righe, l’essenza di quello che Dostoevskij probabilmente ha voluto comunicarci: il racconto è costantemente sospeso tra sogno e realtà: il lettore si trova a chiedersi se ciò che il protagonista del libro, il povero e sciagurato signor Goliadkijn, vive e affronta sia vero o piuttosto frutto della sua immaginazione. Devo ammettere che  la trama è piuttosto fittizia, qualcosa che cade in secondo luogo, in quanto quello che dà voce al libro e che lo movimenta è in realtà il processo psicologico del protagonista, i suoi pensieri, i cambiamenti del suo carattere di fronte ad un fatto quanto mai strano e spaventoso: la comparsa di un suo sosia, un suo simile, un suo altro. Il tema del doppio è un tema che ricorre incessantemente nella letteratura moderna, così come quello della pazzia o della nevrosi. Dostoevskij li ha condensati anche con humour e ironia tragica, ingredienti che nella giusta quantità hanno saputo creare un racconto quanto mai attuale.

Il protagonista è un uomo come tutti, che ha un suo lavoro in ufficio, ma che potrebbe paragonarsi agli inetti protagonisti dei romanzi di Svevo: uomini grigi e spenti, che arretrano di fronte alla realtà, pur proponendosi di affrontarla. Goliadkijn è uno di quegli “eroi” (come lo stesso Dostoevskij più volte lo nomina) che ama stare nel suo angolino senza essere disturbato; il suo motto è “non toccatemi dal momento che io non vi tocco”. La sua tranquillità, il suo modo di vivere adulando tutti per mantenere un certo equilibrio nella vita, è però turbata dall’inaspettato arrivo di un suo sosia. Stesso aspetto,stesso nome, stessa provenienza, all’inizio stesso modo di pensare e vedere le cose, tanto che Goliadkijn vede in lui un complice per prendere il potere sugli altri. Si, perché in fondo Goliadkijn ama sentirsi forte di fronte alla debolezza altrui. Ma ben presto le cose cambiano, perché il nuovo Goliadkijn mostra la parte peggiore di sé, e soprattutto inizia a mettere in ridicolo l’altro Goliadkijn, iniziando la sua scalata al successo. Ma l’aspetto negativo del nuovo Goliadkijn (o Goliadkijn junior) è soltanto suo? No. Perché a differenza di Stevenson, che crea una medaglia con una faccia positiva  e una negativa, Dostoevskij non crea altro che uno specchio per il signor Goliadkijn: il suo sosia non è altro che egli stesso, svelato da ogni ipocrisia, da ogni maschera, quella maschera e finzione che avrebbe poi teorizzato Pirandello e la cui idea Dostoevskij anticipa.

All’apparenza semplice nel suo essere racconto del doppio, il libro è in realtà straordinariamente complesso. Noi lettori, infatti, non sappiamo mai con esattezza se Goliadkijn junior esista veramente o se sia solo un frutto dell’immaginazione di Goliadkijn senior. E qui ritorna il tema sogno-veglia dell’inizio della mia analisi: il racconto è sempre in bilico su una linea di demarcazione molto sottile tra realtà e immaginazione. Sembrerebbe che il sosia esisti veramente: egli parla con i suoi superiori, parla con lo stesso Goliadkijn junior; ma molti altri segnali ci dicono che potrebbe in realtà essere benissimo frutto dell’ immaginazione distorta del protagonista: quando egli commissiona un certo lavoro al suo servo Petruska, quest’ultimo cerca di dargli ragione, e cerca di liquidarlo con un “Bè se lo dite voi! A me che ne viene! Come volete” sinonimo di: “vi do ragione, basta che la finiate con questa pazzia”, o colui al quale Goliadkijn cerca di spiegare del suo sosia risponde “Ma che storia è questa?“, facendo capire che è tutta un qualcosa di immaginario. O ancora  Goliadkijn è convinto di avere con sé una lettera che poi misteriosamente gli scompare dalla tasca. Attirato in una casa con una trappola, Goliadkijn viene infinto e condotto al manicomio, quando, quasi per un’ironia tragica, era stato lui a dire che il suo sosia doveva esserci portato. Ma la sua reclusione è alla fine frutto del malvagio sosia, che ha fatto di tutto per prendersi il posto del vero protagonista, o soltanto la giusta cura per un uomo che in preda alla follia, per mania di persecuzione,  aveva immaginato un suo sosia, e tutta la storia che Dostoevskij ci descrive?

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Recensione di
Ele

24 anni, i viaggi e la letteratura sono le mie passioni. Dalla Calabria, passando per Roma, Tomsk e Edimburgo, studio Traduzione e Comparatistica letteraria a Pisa. I miei studi mi hanno portata a vedere la letteratura come un insieme di connessioni: tra lingue, popoli, culture, riti, influenze. Difficilmente riesco a leggere un libro per volta. In constante fluttuare tra luoghi e parole, ricorro alla scrittura per trovare un ordine, o almeno ci provo.

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