Continuando la mia personale ricognizione della letteratura israeliana, ho recuperato un libro relegato da anni sullo scaffale più alto della libreria e, non saprei dire perché, sempre trascurato: la raccolta dai racconti di Abraham B. Yehoshua (Gerusalemme, 1936). Come spiega l’autore stesso nella nota all’edizione italiana del 1999, la sua carriera letteraria è cominciata con la composizione di narrazioni brevi, che si è protratta dal 1957 al 1974. Raccolti in unico volume nel 1993, Tutti i racconti (כל הסיפורים) permettono di seguire l’evoluzione dello stile di scrittura che conduce fino alla produzione più matura dei romanzi.
In circa vent’anni Yehoshua ha composto dodici racconti, dedicando dunque a ciascuno, come ancora lui stesso riferisce, mesi di lavoro ed un’estrema attenzione. I primi sei sono ambientati in una dimensione spazio-temporale vaga, a volte fiabesca, e presentano tratti surreali e un simbolismo non sempre di facile interpretazione: l’intenzione, dichiarata, dello scrittore era quella di prendere le distanze dal realismo socialista della generazione precedente; i secondi sei, pur non rinunciando del tutto alla componente simbolica, presentano invece un’ambientazione realistica e si agganciano evidentemente ai temi e ai drammi della Palestina in guerra. I racconti del secondo gruppo hanno anche un’estensione maggiore e una struttura narrativa più complessa.
Tra i primi, che ci immergono in un’atmosfera surreale che non può non ricordare Kafka e Buzzati, spiccano Il rapido serale di Yatir, in cui il nonsenso dell’esistenza si concretizza in noia e crudeltà, e Alta marea, in cui di nuovo si cerca una via di scampo al nonsenso, questa volta attraverso una dedizione assoluta alle regole. Tra i secondi, meno suggestivi ma più elaborati e talvolta toccanti, si possono ricordare Il poeta continua a tacere e All’inizio dell’estate del 1970, in cui viene affrontato il tema del rapporto padre-figlio in maniera diversa ma sempre nel segno della incomunicabilità. Oltre a quello del conflitto generazionale (che ricorre anche in altri racconti, come La morte del vecchio), un altro tema ricorrente nei racconti è quello del pacifismo (L’ultimo comandante, di nuovo All’inizio dell’estate del 1970): tutti questi argomenti avvicinano Yehoshua ai più giovani Grossman e Oz.
I racconti di Yehoshua narrano fallimenti di uomini inetti a vivere, che si muovono a tentoni nella vita e negli affetti risultando irrimediabilmente sconfitti; intorno a loro lo scrittore delinea paesaggi arsi, climi aridi, atmosfere asfittiche che accrescono il senso di soffocamento e di impotenza. Il lettore resta inoltre spiazzato dai finali, dove immancabilmente una coda inaspettata lo sorprende e gli lascia l’impressione di non aver compreso fino in fondo il senso e il messaggio della narrazione. Per quanto concerne la struttura narrativa, spesso i racconti cominciano in medias res: in questo modo si viene letteralmente catapultati nella storia (per lo più narrata in prima persona dal protagonista) e la vicenda si chiarisce gradualmente attraverso successivi flashback tenendo sempre tesa la curiosità di chi legge.
Molti, stando a ciò che testimonia sempre lo stesso autore, considerano i racconti la produzione migliore di Yehoshua: certamente siamo di fronte al frutto di un lavoro di cesello notevole, che lascia il segno. E che evidentemente rispecchia, nei toni e nei temi, una realtà complessa e dolorosa quale quella mediorientale.