Francesca Alinovi, 47 coltellate – Achille Melchionda

Questa non vuole essere solo la recensione di un libro molto ben scritto, ma anche l’occasione per mantenere viva la memoria di quella che è stata una persona straordinaria, anche solo dal punto di vista artistico, la cui vita è stata purtroppo recisa troppo presto in un modo folle, proprio come quella rosa di plastica che è stata trovata accanto al suo cadavere quel 12 giugno 1983. Io all’epoca non ero nemmeno nata, ma ho potuto conoscere Francesca Alinovi, il suo prezioso contributo e il suo stile unico grazie all’aver studiato storia dell’arte tra le materie universitarie qualche anno fa. Da allora, la sua storia mi ha sempre affascinato e turbato profondamente allo stesso tempo – e penso che valga la pena di essere raccontata, concedendomi il vezzo di dilungarmi un po’ di più – grazie in anticipo a chi arriverà fino in fondo!

In quel torrido giugno 1983 Bologna non si è ancora lasciata alle spalle i tumulti degli “anni di piombo”, i cui strascichi si riflettono con tutti i loro aspetti positivi e negativi principalmente sulla cultura giovanile e sulla vita universitaria della città. Il mondo è decisamente cambiato ma, insieme alla nuova aria di libertà, si respira ancora una certa inquietudine. Francesca Alinovi ha trentacinque anni ed è assistente di Estetica al DAMS, la prima famosissima facoltà tutta artistica d’Italia, teatro di moltissimi scontri e rivolte ma anche fucina che ha creato talenti geniali – basti citare Andrea Pazienza e Pier Vittorio Tondelli. Francesca è bella, eccentrica, somiglia un po’ a Joan Jett sia nel modo di truccarsi che di vestirsi, ha tanti amici, è adorata dai suoi studenti ma soprattutto è una promessa della critica dell’arte: fu tra i primi a intuire l’enorme potenziale di artisti come Keith Haring e Basquiat, che diventarono per lei anche amici. L’unico lato d’ombra della vita di Francesca è il suo rapporto con gli uomini: tormentato, sofferto, pieno di scelte sbagliate. L’ultima è rappresentata da Francesco Ciancabilla, un suo studente di ben quindici anni più giovane, violento e cupo, con forti tendenze autodistruttive ma dotato di grande abilità pittorica. Francesca si innamora perdutamente di lui, al punto tale da ignorare le botti e le liti infinite, da accettare che il loro rapporto rimanga platonico a causa dell’omosessualità latente di lui, da cercare in tutti i modi di allontanarlo dall’eroina – purtroppo una piaga che ha ferito profondamente quegli anni.

Il 12 giugno 1983 Francesca viene trovata morta nel suo appartamento di via del Riccio, massacrata sadicamente da ben 47 coltellate poco profonde di cui una sola è stata mortale. Accanto al suo viso, una rosa di plastica rossa e  – su una finestra – un’inquietante scritta con la matita nera “you’re not alone, anyway”. Da subito, l’opinione pubblica e la stampa si scatenano: l’occasione è troppo ghiotta, la Alinovi un personaggio troppo sopra le righe per non giocare al solito gioco de “l’assassino misterioso”, magari proprio uno del suo circolo di artisti bizzarri e maledetti. In realtà, è chiaro sin dall’inizio che il sospettato numero uno sia proprio Ciancabilla, inchiodato da una serie di prove pressoché inconfutabili.

Il libro espone in modo chiaro e preciso l’analisi della “scena del crimine” e le varie fasi del processo, durato anni, che ha alla fine portato alla condanna definitiva di Ciancabilla. Non mi dilungherò su questa parte, lasciandovi il piacere di leggere quanto scritto in prima persona. La voce narrante limpida e semplice di Achille Melchionda – l’avvocato di parte civile della famiglia Alinovi – ci racconta la vita di Francesca, chi era, come è stata brutalmente uccisa, il lungo e tortuoso processo per la ricerca di un colpevole. Il tutto con una delicatezza e un pudore estremi: pur non potendo evitare – per dover di cronaca – di scendere in particolari, il racconto di Melchionda sembra lontano anni luce dalle squallide e morbose trasmissioni voyeuristiche su crimini e misfatti che sono spuntate come funghi negli ultimi anni.

La parte più straordinaria, però, è l’ultima: per la prima volta sono state rese pubbliche alcune pagine del diario di Francesca, che ha scritto fino a poco prima della sua scomparsa. Ne emerge davvero l’immagine di una donna straordinaria, fragile e forte allo stesso tempo, riflessiva e profonda, a tratti malinconica e talentuosissima: gli spiragli di luce che si aprono sulla sua anima ci aiutano a capire, se non a giustificare, perché una donna in gamba e capace come lei non riuscisse ad affrancarsi dalla prigionia di un amore sbagliato. La troppa sensibilità può essere un’arma a doppio taglio: se da un lato ti arricchisce artisticamente, dall’altro può trasformarsi anche in una condanna. Fanno venire i brividi quelle pagine in cui, senza saperlo, Francesca preannuncia in un certo senso la sua tragica fine, provando a riflettere sulle sensazioni che si provano nel momento della morte.

Quando morì Lady Diana, ricordo perfettamente che una giornalista disse – con tutto il rispetto possibile – che tutto sommato poteva essere la fine “perfetta” per una persona come lei, per la vita che aveva vissuto, cinematografica, sopra le righe, intensissima. Nessuno se la sarebbe mai immaginata invecchiata a morire serenamente nel proprio letto – anche se sicuramente lei lo avrebbe senz’altro preferito, se le fosse stata data la possibilità di scegliere. Fatte le dovute proporzioni, si può dire lo stesso di Francesca Alinovi: bella, eccentrica, tormentata, appassionata, piena di talento, capace di creare universi magnifici e allo stesso tempo di distruggere se stessa in un amore malato – questa fine da romanzo noir non stona affatto con quello che era il suo personaggio. Personaggio, appunto, non persona: questa è una storia vera e, purtroppo, la tragica fine di Francesca ha significato la perdita di una persona che – a livello artistico come umano – avrebbe avuto ancora moltissimo da dare. Con buona pace dei fanatici delle storie nere e dei finali a sopresa.

Ps. mi sono permessa per quest’unica volta di mettere una foto di Francesca, anziché la copertina del libro: rende decisamente più giustizia alla sua grande personalità.

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Recensione di
MaddalenaErre
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4 commenti
  • Ammetto la mia ignoranza e confesso che non avevo mai sentito parlare prima di Francesca Alinovi. Però il libro sembra davvero molto interessante e la sua vita degna di esser conosciuta meglio da chi, come me, non aveva ancora avuto opportunità di farlo. Grazie per la bella segnalazione!

  • Idem: il nome di Francesca Alinovi mi è del tutto nuovo. Una interessantissima scoperta per me che sono sempre alla ricerca di “storie di donne”. Grazie!

  • è anche per questo che ho voluto parlare di lei: Francesca merita di essere conosciuta di più, anche al di là della sua tragica fine

    consiglio a tutti di leggere – purtroppo non è di facile reperibilità, solo nelle biblioteche o in qualche usato – il suo libro “L’arte mia”, edito da il Mulino

    Su youtube oltretutto è possibile trovare una puntata di History Channel sulla storia di Francesca, per chi fosse interessato

Recensione di MaddalenaErre