54 – Wu Ming

Lo avevano portato lì poco prima di Natale. Un regalo per la truppa, il pezzo forte per il nuovo circolo ricreativo. Poi Merry Christmas, Happy New Year, ritorni in famiglia, vacanze: i lavori erano stati sospesi e l’avevano lasciato lì, a far compagnia a due poltrone, un tavolo, il vecchio juke-box e la foto del presidente appesa al muro.

Ed è esattamente così, in uno stato di inattività inerte, che il volume di 54, produzione Wu Ming del 2002, è rimasto per tutta l’estate sul mio comodino. Esattamente come il televisore McGuffin, uno dei protagonisti (i tanti – troppi – protagonisti) della vicenda.

Avevo aperto speranzosa il volume ancora a luglio, sicura che, come era accaduto per Q, per Altai, per Manituana, vi sarei sprofondata dentro, in un vortice di racconti di avventure appassionanti. E invece: noia. (leggendo i commenti entusiasti sul sito di Wu Ming e su Anobii, direi che tuttavia sono l’unica a pensarla così).

La vicenda raccontata è quanto mai dispersiva. Ma sono sicura che se ora vi elencassi tutti i suoi protagonisti – il giovane Robespierre Capponi campione bolognese di filuzzi; suo padre, Vittorio Capponi, ex partigiano esule in Jugoslavia; Bottone, Garibaldi, Melega, Walterùn e i gli altri vecchi del bar Aurora; la malinconica Angela e il suo fratello matto, Ferruccio; e poi ancora il generale Serov alla guida di un Kgb allo stato embrionale, Lucky Luciano, Stephen Zollo detto “Cemento”, lo scugnizzo Salvatore Pagano detto Kociss, il contrabbandiere Ettore, e poi ancora Cary Grant, Frances Farmer, Josip Broz detto Tito; per non parlare del televisore McGuffin – pur tacendo delle innumerevoli comparse (fra cui alcune illustri, come Alfred Hitchcock) sareste presi dalla voglia matta di leggerlo. Esattamente la stessa voglia matta che mi ha preso quando ho sfogliato il volume tra gli scaffali della libreria.

Questa ridda di personaggi c’è tutta: e le loro storie si intrecciano in un turbine di cui si fa presto a perdere il filo. E se lo perdete, siete finiti: non lo recupererete più, e sarà difficile districarsi fra flussi di coscienza e pistolotti a volta davvero troppo retorici. Se vi piacciono le ricostruzioni storiche, o le vicende piene di intrighi, troverete pane per i vostri denti, ma dovrete forse rinunciare ad un racconto lineare. E alla fine, troppa frammentazione rende noiosa la lettura. Forse avrei dovuto leggerlo quando queste storie dal fitto intreccio ancora mi prendevano. Non riesco a capire se sono troppo vecchia, o se il romanzo è davvero troppo incasinato. Forse, entrambe le cose. Certo è che rimpiango i fasti di e di Altai. Peccato, perché gli ingredienti per un bel romanzo, sulla quarta di copertina, c’erano tutti.

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