TrixSì, sì, sì. I pareri su aNobii hanno ragione: questo è uno dei rari casi in cui il film è meglio del libro. Però, abbiate pazienza, il regista è pure Tim Burton, mica bruscolini. Un altro però è necessario, però: è pur vero che non esisterebbe film senza il libro di Daniel Wallace.
William Bloom è stato troppo poco tempo con suo padre. Un padre che come poteva fuggiva da casa, non per indole cattiva, ma per il forte desiderio caratteriale di scoprire, curiosare, esplorare. Edward Bloom ha cominciato a viaggiare per il mondo fin da piccolo, incontrando ogni sorta di persone, capitando in ogni genere di luogo.
Ha incontrato un gigante, camminato in una palude, salvato varie vite –tra cui quella di suo figlio, è precipitato dal tetto della sua casa ed è sopravvissuto per raccontarlo. Una vita di peripezie, di storie strambe e strampalate intervallate da barzellette ciniche dispensate come caramelle.
Così, quando Edward Bloom si ritrova su letto di morte, all’improvviso e inaspettatamente, suo figlio non trova modo migliore per onorare suo padre che quello di raccontare tutte le storie che sono state raccontate a lui da bambino.
Nel libro ci sono meno spunti fantastici rispetto a quelli che abbiamo amato nell’omonimo film. C’è più realismo, meno coincidenze, più vita vera. Ma non è detto che la vita vera sia meno epica o straziante. Ci sono molte differenze tra le due storie, ma la scrittura è così familiare e leggera che il libro scorre via come acqua dalle mani.
Più che il racconto di una vita incredibile, Big Fish è il tentativo di dare un senso alla morte di una delle persone più importanti nella vita di un uomo. È il racconto di un padre attraverso gli occhi di un figlio che non si è ancora accorto che suo padre è un essere umano comune, con le debolezze di tutti gli altri esseri umani. O forse, se n’è accorto, ma sceglie di rendergli omaggio credendo alle storie raccontategli dal suo vecchio, e condividendole col resto del mondo.
