Di questo mondo e degli altri – José Saramago

Periodicamente non può mancare da parte mia un omaggio a José Saramago (Azinhaga, 1922 – Tías, 2010), vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1998 e uno degli autori da me in assoluto più amati: le sue trame, il suo stile, il suo pensiero esercitano su di me un fascino che ad ogni lettura si rinnova. Questa volta la mia scelta è caduta su una raccolta di brevi prose pubblicate su alcuni giornali di Lisbona tra il 1968 e il 1969 e successivamente riunite in due volumi: il libriccino italiano Di questo mondo e degli altri ne rappresenta un’antologia, nata da due progetti distinti e successivi, uno del 1993 e uno di tredici anni dopo.

Le settantatré prose contengono riflessioni, memorie, raramente racconti in senso stretto, in cui si mescolano gli eventi dell’attualità, i ricordi personali e familiari, i parti di una fantasia visionaria. Non tutte le cronache sono ugualmente godibili: alcune sono infatti appesantite da uno stile eccessivamente fiorito e involuto. Ma la gran parte delle pagine si legge con grande piacevolezza e lascia una lunga eco di emozioni e di pensieri. Personalmente ho trovato molto toccanti i ricordi dedicati alla nonna novantenne (Lettera a Josefa, mia nonna), semplice, ignorante, un tempo bellissima e ancora caparbiamente e incredibilmente attaccata alla vita; e al nonno (Mio nonno, anche), il contadino umile e instancabile che sentendo avvicinarsi la morte andò a salutare uno per uno gli alberi coltivati con amore per anni. Hanno poi davvero il sapore di un’epoca le prose ispirate alla missione americana sulla Luna del 1968, tra entusiasmi, paure e interrogativi atavici che si risvegliano (Un salto nel tempo); quelle che descrivono l’urbanizzazione che avanza, e con essa il rischio della solitudine e della disumanizzazione (Le terre); quelle che alludono ad una orgogliosa emancipazione femminile (Nel cortile, un giardino di rose)… Uscendo dalle memorie familiari e dal rapporto più immediato con l’attualità, possiamo leggere un pessimismo profondo (Speculando sul sisma, “Salta, vigliacco!”) ma anche la fiducia che nonostante tutto l’orizzonte sia raggiungibile (La parola resistente). Tutte le prose, in definitiva, mostrano che dietro la quotidianità apparentemente banale c’è qualcosa di più che merita di essere rivelato e meditato, oltre l’esteriorità e anche oltre i pregiudizi (Il bianco gioca e vince).copj170.asp

Le cronachette risalgono agli anni in cui lo scrittore aveva momentaneamente abbandonato la composizione di romanzi ma non la scrittura, passione irrinunciabile (e spesso, insieme al tema più generale della “parola”, oggetto di riflessione di queste stesse prose). Per chi conosce le opere successive dell’autore, dai capolavori Cecità, Saggio sulla lucidità, La zattera di pietra, Le intermittenze della morte ai lavori magari meno felici, questi brevi testi di due massimo tre pagine di stampa mostrano di contenere già l’intero ricco stimolante universo che Saramago avrebbe poi illustrato negli anni a venire con fantasia geniale ed uno stile di scrittura peculiarissimo.

Di questo mondo e degli altri rivela però anche un Saramago più sentimentale di quello dei libri più famosi composti in seguito, probabilmente perché qui il discorso è eminentemente soggettivo. D’altra parte è chiaro che l’incrollabile passione civile e morale che emerge dalle opere mature, e che in forma più semplice attraversa anche le brevi prose degli anni ’60, è parente stretta di quella tenerezza.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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