Sulla strada – Jack Kerouac

La scrittura di Kerouac è a dir poco sghemba e stridente, ma proprio in queste sue caratteristiche si può cogliere la sua armonia. Questa connotazione si può ampiamente notare nel suo capolavoro, che diventò allo stesso tempo il manifesto della cosiddetta “Beat Generation”: è il libro “Sulla strada”, che dispiega tra le sue righe pensieri filosofici quanto esistenziali.

La storia è il racconto di alcuni viaggi fatti attraverso l’America, narrati per bocca del protagonista, Sal Paradise: egli racconta quindi le sue avventure, la maggior parte delle quali vissute con il suo amico Dean Moriarty: sono loro coloro i quali Kerouac definisce “i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, […] che bruciano come favolosi fuochi d’artificio.” Con questo libro ci incamminiamo quindi con Sal e Dean in un viaggio spettacolare, che si dirama in due direzioni: da una parte c‘ è il viaggio fisico. Proveremo l’ ”ebbrezza” dei viaggi in autostop, visiteremo con gli occhi della mente la grandiosità di LA, Los Angeles, la celebrità della California, descritta come “selvaggia, sudata, importante”, la gioia di Frisco, San Francisco; ma cosa più importante immaginiamo la moltitudine di gente diversa che sfila sotto i nostri occhi: da persone disincantate a personaggi californiani, segnati però da una tristezza di fondo; dalle bionde dei motel agli uomini belli alla Casanova: un “branco di derelitti” segnati dalla vita, quella vita aspra e dal gusto amaro che Jack Kerouac aveva già assaggiato.
L’ultimo viaggio ha infine come meta l’assolato e placido Messico, con i suoi vividi colori e sapori descritti minuziosamente dalla penna dell’autore. Mete, queste raggiunte per caso: Sal si rende conto di quanto non importa la destinazione, ma il viaggio, perché “la strada è la vita”. Come lui stesso dice, “stavano correndo per il mondo senza una chance di vederlo.”

Accanto allo spazio fisico del libro, vi è poi quello interiore: l’opera è un continuo addentrarsi nelle parti più recondite dell’animo umano, nei suoi sogni e nei suoi incessanti timori: la scrittura di Kerouac scandaglia senza sosta l’infinita varietà dell’animo umano, portandone alla luce i suoi segreti. E’ così che possiamo leggere innanzitutto la perenne irrequietezza dell’uomo:

“Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché arriviamo” dice Dean.

“Finché arriviamo dove, amico?” chiede Sal.

“Non lo so, ma dobbiamo andare” è la risposta.

Il viaggio quindi è un’incessante ricerca, non di qualcosa di concreto, ma del proprio io, della propria personalità. Solo trovandola si può far fronte al quel disagio personale vissuto dai protagonisti. L’opera è quindi la narrazione dell’andare senza fine per cancellare l’ombra della noia proiettata da sempre sull’esistenza di ognuno.
Al contempo il libro ha come temi paralleli, l’amore e l’amicizia. Sentimenti letti in una chiave diversa. L’amore è libero: Dean ama al contempo più di una donna, e si tratta di un amore irrefrenabile nella sua forza, esplosivo, incontenibile. L’amicizia è al tempo stesso qualcosa di profondo ed effimero. Ossimoro questo che rivela il disagio dei protagonisti, che a volte sono indecisi sui loro stessi sentimenti: è un’amicizia profonda durante il viaggio, un’amicizia fatta di aiuti vicendevoli e comprensioni. Ma è effimera al momento del distacco.
Dice Sal al termine di uno dei tanti viaggi: “Stavamo tutti pensando che noni saremmo mai più rivisti e non ce ne importava niente”. E’ così che il romanzo diventa il romanzo dell’oscurità, dell’impossibilità di comunicare, del ritorno ossessivo al punto di partenza. Ed è così che si può capire come il romanzo diviene un opera poliedrica, che va a toccare punti alti e diversi del pensiero umano.

Il tutto puntellato da numerose descrizioni filosofiche: ogni viaggio sembra essere raccontato attraverso l’onirico. Si parla dell’universalità, della grandezza che ci circonda. Vi è la descrizione della morte, che incombe su tutti, definita “uno spirito che inseguiva tutti noi nel deserto della vita”; vi è il ricordo di una felicità perduta dar riconquistare, quindi un eco della filosofia di Platone e del re decaduto di Pascal. E ancora, in una delle pagine più belle del libro, si parla dell’estasi, che per l’autore consiste “nell’entrare di netto nelle ombre eterne superando il tempo cronologico e nell’osservare stupefatto da lontano lo squallore del regno mortale”.

In questo libro si dispiegano quindi le più alti doti dell’intelletto. Con una scrittura decisa, intenta a richiamare i forti segni di una cruda realtà, Kerouac ci parla dei più alti problemi esistenziali, e ci fa viaggiare per le torridi zone dell’America, in un viaggio che ci arricchirà sotto tutti i punti di vista.

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Recensione di
Ele

24 anni, i viaggi e la letteratura sono le mie passioni. Dalla Calabria, passando per Roma, Tomsk e Edimburgo, studio Traduzione e Comparatistica letteraria a Pisa. I miei studi mi hanno portata a vedere la letteratura come un insieme di connessioni: tra lingue, popoli, culture, riti, influenze. Difficilmente riesco a leggere un libro per volta. In constante fluttuare tra luoghi e parole, ricorro alla scrittura per trovare un ordine, o almeno ci provo.

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