Lucernario – José Saramago

Chi ama José Saramago (Azinhaga, 1922 – Tías, 2010), le sue trame surreali e realistiche insieme, le sue denunce ironiche e amare che non risparmiano politica, chiese e vite comuni, il suo stile cerebrale che scoraggia l’immedesimazione ma stimola come pochi la riflessione, si è accostato certamente curioso ed emozionato al suo Lucernario (Claraboia). La storia editoriale di questo romanzo rappresenta infatti un caso quasi unico, come racconta Pilar del Rio, vedova dello scrittore e curatrice della pubblicazione: il libro risale al 1953, agli esordi di Saramago, ma allora non trovò editori ed è rimasto nel cassetto fino alla morte dell’autore. Solo dunque nel 2011 ha visto la luce in Portogallo; e quest’anno è uscito in Italia.

In un condominio portoghese diviso in sei appartamenti si svolgono le vite di sei famiglie. Le storie di ciascuna si svelano a poco a poco, mostrando per lo più miseria, sogni infranti, dolori indimenticabili, segreti scabrosi e inconfessabili, rimpianti e insoddisfazioni, compromessi e violenze. Le vicende narrate si svolgono nel breve arco di tempo in cui nel palazzo vive anche il giovane Abel; alla conclusione del romanzo molto è cambiato, ma forse nulla è cambiato.

Il libro, uscito dalle mani di un trentenne figlio e nipote di analfabeti, dimostra una piena padronanza di temi e stile: ambienti descritti con sobria precisione; storie e caratteri del tutto realistici che sono al tempo stesso paradigmatici; una prosa sicura. Tuttavia è difficile riconoscere nel giovane autore di Lucernario lo scrittore maturo della Zattera di pietra o di Cecità. Il primo romanzo di Saramago (che in realtà non è veramente il primo, perché preceduto da un altro, La terra del peccato, ripudiato in seguito) è molto più tradizionale nello stile ed anche la trama riflette tendenze neorealistiche lontane dalle originali sperimentazioni successive.

Il lettore può restare dunque sconcertato, e perfino deluso, di fronte ad un romanzo che sembra prodotto da una penna del tutto diversa da quella che ha redatto i noti capolavori. È possibile rintracciare qualche spunto ripreso e sviluppato in seguito: la figura del calzolaio-filosofo Silvestre ricorda ad esempio il vasaio Cipriano Algor della Caverna; meglio: Cipriano sembra sintetizzare in sé l’utopia di Silvestre e il disincanto del giovane Abel (personaggio evidentemente autobiografico). Ma siamo lontani dal fascino delle atmosfere paradossali dei lavori successivi. In ogni caso vanno delineandosi fin da Lucernario quell’analisi dell’uomo insieme severa e pietosa e quel pessimismo appena rischiarato da una flebile luce di speranza che troveranno espressione piena e a volte straordinaria nei romanzi della maturità e della senilità. Lucernario è insomma un’opera compiuta e matura, ma non è ancora un’opera del Saramago compiuto e maturo.

Il romanzo non fu esplicitamente rifiutato: ciò che più profondamente turbò e addolorò l’autore fu il silenzio, poiché la casa editrice non si degnò di comunicargli nulla. È plausibile che l’opera del giovane giornalista e scrittore, già tra i sospetti del regime di Salazar all’epoca al potere, sia stata considerata pericolosa. Lucernario non è un romanzo specificamente politico, ma la desolazione che lo domina, certe allusioni scabrose e il tema dell’ “impegno” che, seppure confusamente, si affaccia nelle riflessioni di Silvestre e Abel possono essere ben bastati, sotto la dittatura, a renderlo sgradito. Ma neppure una risposta di circostanza ritenne, la casa editrice, di dovere a Saramago. E lui, per vent’anni e più, non scrisse romanzi.

Quando riprese a farlo, però, era pronto per autentici, immortali capolavori.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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