Ci sono romanzi che fanno letteralmente girare la testa se si cerca di immaginare la scala di spazio – e tempo, in molti casi – all’interno della quale sono incastonate le vicende narrate. Clarke, con questo suo fulgido capolavoro, va decisamente oltre. Sono davvero pochi i libri che offrono una prospettiva così vasta da risultare quasi impossibile anche solo da immaginare. Rispetto ai giorni nostri – e addirittura rispetto all’epoca, già di per sé avanzatissima, nella quale è ambientata la maggior parte dei romanzi del genere – “La Città e le Stelle” narra la storia del genere umano (o meglio, di quello che ne è rimasto) centinaia di milioni di anni nel futuro, partendo da una Terra ridotta ormai ad un arido deserto ed arrivando a toccare i confini dell’universo, in alcuni casi addirittura superandoli – come nel bellissimo finale, carico di quella poesia e ottimismo tipici dell’autore. La sfera scientifica si fonde in quella metafisica – nell’accezione più laica del termine – in una sorta di simbiosi perfetta, regalandoci una visuale inaspettatamente grandangolare. Una dimensione così titanica da far percepire l’arco della vita di un uomo come un unico, singolo battito d’ali di colibrì. Ed è proprio questo uno dei temi dominanti nel libro: il ciclo vitale, per come lo conosciamo ora, è stato completamente riprogrammato e Diaspar (la complessa città in cui è ambientata gran parte della storia) può vantare una popolazione incredibilmente longeva e la cui esistenza si rinnova ciclicamente, donandole di fatto l’immortalità. Ma questa apparente perfezione porta con sé una inevitabile monotonia e una mancanza di prospettiva che solo Alvin, tra tutti i milioni di abitanti, riesce a percepire. È questa sua innata ribellione nei confronti dei dettami con i quali sono rigidamente programmati i cittadini di Diaspar che lo portano a cercare un modo per uscire da quel mondo sterile e immune allo scorrere del tempo.
Il principale cardine intorno al quale si muove l’intera struttura del romanzo è senza dubbio la tecnologia. Clarke è un vero e proprio maestro nell’immaginare e rendere credibili tecniche e meccanismi così distanti da noi. E – se mi concedete l’anacronismo – non troverete un solo bullone fuori posto, perché la base scientifica è così solida e plausibile da far percepire le tecnologie descritte come una convincente evoluzione di quelle attuali (o, data la scala, di quelle future). L’autore rimane anche in questo caso coerente con le sue abituali scelte stilistiche e, come succede nella gran parte dei suoi lavori (e questo è uno degli aspetti del suo modus scrivendi che gli vengono maggiormente criticati), dedica all’impianto scientifico la maggior parte delle risorse letterarie. L’intera umanità viene descritta in chiave tecnologica: i protagonisti e i vari personaggi che si susseguono nelle vicende non hanno una caratterizzazione profonda come forse si esigerebbe da un’opera di tali dimensioni, ma sembra che facciano quasi da contorno alla palpabile realtà rappresentata dalle macchine e dalle meraviglie che nascondono. E la cosa davvero fantastica è che va benissimo così. Il romanzo è un susseguirsi di riflessioni, interrogativi, azioni e reazioni che coinvolgono intimamente l’uomo – come la paura, la religione, il coraggio, l’istinto di conservazione, l’estraniazione dal mondo esterno al solo scopo di proteggersi, l’amore nell’accezione più pura del termine – e allo stesso tempo toccano dimensioni infinitamente più grandi – il desiderio di conquista dello spazio, la brama tecnologica, il sogno di riprodurre e perfezionare quell’incredibile macchina biologica che è l’uomo, fino a toccare l’umiltà e lo studio dei propri errori per il benessere collettivo. I temi trattati sono coinvolgenti ad un livello così profondo e riflessivo che più volte mi sono ritrovato, quasi senza accorgermene, a rileggere passaggi o interi capitoli per assimilarne al meglio le dinamiche e i significati.
Un libro di Fantascienza con la ‘F’ smisuratamente maiuscola. Un’esperienza vasta e appagante, che mi sento di consigliare a tutti. E se siete amanti dell’introspezione e della minuta caratterizzazione dei personaggi, vi consiglio di cambiare registro di lettura prima di iniziare. Vi godrete meglio le meraviglie che Clarke è riuscito ad offrirci.
Cosa mi hai fatto ricordare! Il mio personale “baule dei ricordi di carta”…
Da ragazzina ero appassionata di fantascienza e Clarke è stato il primo autore importante che ho letto: “La città e le stelle” lo posseggo ancora, insieme con altri. In seguito ho preferito Asimov, capace anche un’emozionante introspezione dei personaggi, e in seguito ho lasciato la fantascienza del tutto. Ma Clarke è una sorta di primo amore. Grazie per avermelo ricordato. :)
Ma figurati, grazie a te per aver condiviso parte del tuo “baule dei ricordi di carta” con noi! ^_^
Anche io adoro Asimov. In particolare il ciclo delle Fondazioni, perché secondo me lì si può trovare, concentrato e ben amalgamato, il meglio che questo autore può regalarci. Comprese ovviamente tutte le ramificazioni presenti, dato che moltissime delle vicende narrate sono poi riprese in libri o cicli separati. ^^
Hai letto altro di Clarke?
Ho ripreso i volumi tra le mani proprio dopo aver letto il tuo pezzo. Di Clarke lessi anche “Le guide del tramonto”, “Polvere di Luna”, “Incontro con Rama”, “Ombre sulla Luna” e “Terra imperiale”. Ma parliamo di letture di trenta anni fa: non ricordo praticamente nulla, se non sensazioni (“Incontro con Rama”, per es., mi colpì in maniera particolare ma non so più dire perché). :)
Allora la prossima recensione sarà “Le Fontane del Paradiso”, così magari ti viene voglia di rispolverarli… :P
:) Credo di sì… Mamma mia, che emozione! Sto sfogliando le pagine e non ricordavo che avessi già allora l’abitudine di sottolineare le parti che mi colpivano, di annotare commenti a margine, di correggere gli errori di stampa/traduzione… Sono proprio io, in versione “amarcord”…
Ok… modalità sentimentale OFF! :) Ti leggerò volentieri alla prossima recensione. Grazie ancora! :)
Arthur C. Clarke – “La Città e le Stelle” – Articolo originale