San Valentino è alle porte e a me piace andare sempre controcorrente, nella settimana più “romantica” dell’anno voglio recensire un libro, che ho finito da poco e che è tutt’altro che romantico: “Il corpo umano”, seconda opera del giovane scrittore Paolo Giordano.
Avevo molto apprezzato “La solitudine dei numeri primi” dello stesso autore, in particolare per l’attenzione dedicata all’introspezione psicologica dei personaggi. Non posso dire altrettanto di questo libro.
Siamo in Afghanistan, in un accampamento di soldati italiani in missione. Un evento traumatico e tragico cambierà irreversibilmente le vite di tutti.
Qui i personaggi sono molteplici e l’approfondimento sulla psiche è diluito fra tutti. Sicuramente sono delineati i caratteri, nel senso dei “Tipi”: il timido, il debole -fisicamente o di carattere – l’arrivista, lo sbruffone, il problematico capitano-medico. A dire il vero la debolezza è senz’ altro elemento caratterizzante tutti, anche il maresciallo, che vuole apparire pronto al sacrificio e responsabile, anche lo sbruffone, che in apparenza sembra forte , ma ha bisogno di un debole sul quale riversare le proprie paure e frustrazioni. Lo stesso dicasi per il capitano arrivista e freddo, incapace di provare emozioni.
Sicuramente colui del quale è meglio analizzata la vicenda familiare, al di fuori dell’ambiente militare, è il capitano medico Egitto.
Quanto allo stile, si può ravvisare una generale mancanza di scorrevolezza, cui si aggiunge l’uso di troppi termini tecnici. Personalmente, non essendo avvezza all’ ambiente militare, è stata una lettura difficile. Le 300 pagine di questo libro sono diverse dalle 300 pagine della “Solitudine dei numeri primi”. Per spiegarmi meglio “Il corpo umano” l’ho trascinato, “la solitudine dei numeri primi” l’ho divorata.
Un libro che lascia un senso di vuoto, senza speranze, affrontando il tema della guerra (o meglio delle missioni di pace che sono una guerra camuffata), incidentalmente toccando il tema del nonnismo, ma soprattutto delineando la pochezza umana.