Non solo per le sue innate capacità ma anche per la goffaggine data dall’età il protagonista riesce nell’intento, fa ridere la signora Morte e così si rimanda il loro incontro. E ciò accade di anno in anno fino a che non compirà l’ottantottesimo compleanno.
Il libro si dipana così in sei rulli (dal Natale 1971 all’epilogo del Natale 1977) proprio come un film muto, ma ricco di parole, le parole che Charlie Chaplin lascia a suo figlio Christopher, in una lunga lettera in cui racconta la sua vita: dall’infanzia in Inghilterra (le sue umili origini, il padre alcoolizzato, la pazzia della madre) al viaggio negli Stati Uniti ove ha svolto tutti i mestieri del mondo, persino l’imbalsamatore, le sue esperienze, le emozioni, gli incontri. Una lettera, il cinema, il circo. Tutto calato in un’atmosfera onirica. Nel rivolgersi al figlio, permette anche a noi di conoscere meglio questo personaggio storico, che personalmente ho sempre amato molto. Pur essendo un po’ malinconico, nella sua filosofia si rispecchia il senso della vita, ed è stato e sarà, per l’eternità, l’attore e l’artista con la A maiuscola.
Mi ha colpita e commossa molto la favola della nascita del cinema per opera di Arléquin, uomo nero, guardiano delle gabbie degli animali del circo, innamorato di una ballerina che era partita per gli Stati Uniti, e, disperato, aveva iniziato a disegnare e poi a riprodurre i disegni in una scatola. Non si trattava di immagini, né di fotografie ma movimento: il cinematografo. Arléquin quando disegnava diceva che si allenava per non dimenticare (Ezter, la sua amata) e di qui la malinconia, ma anche la magia di un sogno e questo libro è tutto così, come sospeso. Una delle funzioni della letteratura è proprio quella di farci sognare, oltre che conoscere e l’autore riesce pienamente nell’intento.
“A pulire le gabbie degli animali, Christopher, si impara una gran quantità di cose. Per esempio che per togliere lo sterco di elefante ci vogliono sacchi di canapa larghi almeno un metro, e che con quello di cammello si possono costruire le case. Le mani di Arléquin – le stesse mani che per prime avevano inventato il cinematografo – sapevano che nel terriccio non si può separare niente: la torba dal letame, la polvere dalla cenere, il bagnato dall’asciutto. Tutto è la stessa semina, lo stesso pugno di sabbia. Anche il silenzio, che è pieno di parole, è il tempo, fatto di ricordi come una radice.”
Questo mi incuriosisce! Quante pagine? In questo periodo ho pochissimo tempo e devo prediligere libri brevi. :(
288 pagine ;-)
Troppe. Per ora. Sarà per l’estate. :)