L’ora di lezione (Per un’erotica dell’insegnamento) – Massimo Recalcati

Un tempo ero costantemente alla ricerca di libri che si occupassero di scuola: il confronto con gli autori, seppure a distanza, era per me, in cattedra da non molti anni, molto stimolante. Così ho divorato letteralmente Pennac e Bégaudeau, Starnone e Mastrocola, talvolta trovandomi in sintonia altre volte non condividendo, ma ricavando sempre preziosi spunti di riflessione. Da qualche anno, a causa di alcune cocenti delusioni lavorative, tendo a scegliere letture diverse. Sembra però che siano i libri sulla scuola a cercare me: per un motivo oppure per un altro, finiscono sempre con il capitarmi in casa: così è accaduto, ad esempio, con quello di Affinati. E ancora. Lo scorso Natale un mio familiare ha ricevuto in dono L’ora di lezione (2014) dello psicoanalista e docente universitario Massimo Recalcati (Milano, 1959) e, non essendo interessato a leggerlo, lo ha passato a me.

L’ora di lezione porta come sottotitolo Per un’erotica dell’insegnamento, ed è appunto questo il filo rosso che collega le varie sequenze del discorso. Viviamo in un’epoca, spiega Recalcati, in cui l’intero sistema dell’educazione, anzi il concetto stesso di educazione, è in crisi: domina infatti un iper-edonismo che spinge i giovani (e anche i meno giovani) a ricercare piaceri immediati, futili ed effimeri, senza più alcun senso delle regole. Secondo l’autore anche i genitori sono coinvolti in questo meccanismo e l’unica a resistere è rimasta la scuola. Essa, tuttavia, è sempre più bistrattata nella considerazione pubblica e mortificata (anche economicamente) dal disinteresse della politica. Occorre però, conclude Recalcati, opporre a questa deriva un rinnovato amore per la conoscenza di cui i docenti devono farsi anzitutto interpreti in prima persona, in modo da poter trasmettere la stessa passione ai ragazzi.

Il ragionamento si articola in cinque capitoli, preceduti da una Introduzione e seguiti da un Epilogo. Ciascun capitolo affronta un aspetto particolare del tema. Nel primo si insiste, attraverso un’interessantissima discussione sui complessi di Edipo, Narciso e Telemaco applicati al discorso sull’educazione, sulla necessità di restituire autorevolezza alla figura dell’educatore. Nel secondo, attraverso l’esempio dell’antico filosofo Socrate, si propone un modello di insegnante consapevole del limite intrinseco della conoscenza e comunque innamorato della ricerca e capace di stimolare lo stesso entusiasmo negli allievi. Nel terzo si condanna l’illusione dell’autoformazione: la guida del maestro è essenziale affinché poi lo studente possa intraprendere una strada autonoma e originale: senza nozioni non si può formare spirito critico e senza tradizione non c’è rinnovamento. Nel quarto si tratta nel dettaglio l’amore per la conoscenza, quella passione che permette di evitare il rischio della ripetizione e della noia e che non teme l’inciampo, il limite, ma lo accetta serenamente senza rinunciare agli obiettivi possibili. Nel quinto Recalcati rievoca l’incontro con una giovane docente di Italiano che gli ha cambiato la vita negli anni delle scuole superiori: è un capitolo a tratti anche commovente, in cui alla trattazione tecnica e più distaccata delle pagine precedenti si sostituisce un tono più intimo; e tuttavia anche a queste pagine l’autore ha affidato un importante messaggio generale: l’utilità del dubbio e della letteratura nel percorso che può condurre lo studente a camminare con le proprie gambe sul sentiero della conoscenza.Recalcati-Lora-di-lezione

Nei primi anni del mio insegnamento ero animata proprio dallo spirito che Recalcati auspica per i docenti della nostra scuola attuale: innamorata dei libri e del sapere, e desiderosa di condividere con i miei allievi le mie scoperte. Negli anni ho cominciato però, sempre più spesso, a sperimentare la sgradevole sensazione di “parlare con i muri”. Questo ha spento molti dei miei entusiasmi, tanto che mi sono sentita come precocemente invecchiata: invecchiata nel significato negativo del termine, sfinita, demotivata, disamorata.

Devo riconoscere a me stessa di aver combattuto l’apatia che rischiava di risucchiarmi e l’ho fatto per quei pochi, sempre meno numerosi ragazzi, che ancora mostravano curiosità e desiderio di apprendere e nei confronti dei quali mi sarei sentita una traditrice, se avessi mollato. Da un paio di mesi a questa parte mi sembra di stare lentamente ritrovando l’entusiasmo, ma rimango comunque molto diversa, distante, dalla me stessa di cinque anni fa.

Il libro di Recalcati mi ha profondamente coinvolta e mi ha spinto a riflettere a lungo, anzitutto su me stessa. Concordo con l’autore su tutti i punti fondamentali del discorso, dal rifiuto dell’antico autoritarismo alla rivalutazione dell’autorevolezza dell’educatore; dalla critica all’iper-edonismo alla condanna dell’uso acritico delle nuove tecnologie… fino naturalmente alla passione per la conoscenza che in me è sempre rimasta fortissima, anche nel periodo più buio, quando è venuta meno la gioia di insegnare. Su altre questioni la mia visione è invece diversa: non condanno, ad esempio, tout court la condivisione dell’amicizia su Facebook tra allievi e docenti (è però semplicemente ovvio che l’insegnante non deve dare di sé, attraverso il social, un’immagine sconveniente né deve abusare di questo strumento per stringere rapporti personali inopportuni con i ragazzi).

Per ora posso solo dire che sto cercando di fare lezione con lo stesso amore di un tempo, tentando di attirare al sapere il maggior numero possibile di giovani e al tempo stesso di non lasciarmi abbattere da quelli che ridacchiano o mi fanno il verso; sforzandomi di non cedere alla superficialità e al disfattismo dilaganti, ma piuttosto di contribuire a quella inversione di tendenza di cui il futuro ha bisogno. In attesa di poter condividere l’ottimismo che, a dispetto della sconfortante realtà attuale tanto ben descritta e analizzata da  Recalcati, emerge chiaramente dalle sue stesse pagine.

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D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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