Nella Palermo del 1978, complice l’eco mediatica del rapimento di Moro, tre preadolescenti decidono di emulare le BR; a tal scopo si assegnano pseudonimi e inventano non solo un dizionario figlio della cultura pop del momento ma anche una logica che giustifichi la violenza e le vittime delle loro azioni, ricordando bispensiero e neolingua orwelliani.
É un romanzo che usa il linguaggio come perno ideologico, laddove inizialmente la voce narrante viene apostrofata come “quello che inventa le parole” prima che cominci ad anteporre l’urgenza sociopatica all’interpretazione di parole come “nemico”, “causa”, “vittima”, dove il male diventa bene e viceversa.
L’autore rende antagonisti i diversi linguaggi, da un estremo all’altro – dal dialetto all’italiano, fino a quello della ragazza creola, compagna di scuola di cui è innamorato il narratore.
Un testo che interpreta i movimenti violenti, usando ragazzini come campioni di una società immatura ma in corsa verso un obiettivo indefinito, priva di reali valori – come famiglia, istruzione e istituzioni -, vittima stordita di slogan, consumismo e macchiette televisive.