Non so voi ma io, quando la vita diventa difficile, i pensieri densi e i sentimenti indicibili, scelgo un bel librone e mi ci tuffo dentro a testa bassa.
A fare da materasso a questa settimana insopportabile ci sono state le 846 pagine di Storia D’Inverno che avrete sicuramente già sentito nominare per la trasposizione cinematografica ora nelle sale.
L’apertura del romanzo è grandiosa: si capisce subito quando si ha per le mani un narratore di vecchio stampo. Uno di quelli che avrebbe raccolto le persone accanto al fuoco di tempi ormai persi. Mark Helprin possiede un pennello meraviglioso e il quadro che dipinge ha una luce forte che s’incastra alla perfezione tra i personaggi, staccandoli dallo sfondo e rendendoli più veri della persona che ti siede accanto in metro.
Tuttavia la reale e indiscussa protagonista del romanzo è la città di New York.
Personalmente non ci sono mai stata ma è chiara la passione che l’autore ha per la sua città natale vista la quantità di parole, paragrafi e interi capitoli che le dedica durante la narrazione. Una New York sempre invernale, incredibilmente bella anche sotto le tormente di neve o affumicata dagli incendi apocalittici, una città adorata come si farebbe con una donna amata con doloroso tormento.
Il libro è fondamentalmente diviso in due parti (anche se in realtà le divisioni all’interno sono di più).
Nella prima ci troviamo nell’Ottocento (ma questo l’ho capito solo molto più tardi) e conosciamo Peter Lake orfano- ladruncolo- meccanico, la sua nemesi Pearly Soames e l’amore della sua vita Beverly Penn. Intorno a questi personaggi, ne ruotano almeno un’altra mezza dozzina, ma non cadete nell’errore di pensare che siano personaggi secondari, perché il pennello d’oro di Helprin li rende incredibilmente vividi e significativi.
Nella seconda parte del libro siamo alla soglia dell’anno 2000 e, tra le nuove generazioni di personaggi già conosciuti, spuntano di nuovo dal nulla Peter Lake e il suo meraviglioso cavallo bianco, esattamente così come li avevamo lasciati più di un secolo prima.
Non vi nascondo che capire dove l’autore volesse andare a parare è stato difficile. Salti temporali? L’amore che supera il tempo? Giustizia divina?
Lo ammetto, terminato il libro non l’ho ancora capito.
Si tratta di un romanzo molto complesso dove valori come l’ Amore e la Giustizia serpeggiano come due rivoli che tendono ad unirsi in un unico grande estuario che sfocia nella magnifica città di New York e inonda i suoi cittadini.
Sebbene la fine del libro (che promette moltissimo) mi abbia lasciata perplessa, stordita e forse delusa, non posso non suggerirvene la lettura anche solo per quelle che nel cinema chiamiamo fotografia e colonna sonora (può un libro avere una colonna sonora? Questo sì.)
In più sono curiosa, se qualcuno lo ha letto, come lo avete interpretato?
I libri hanno una colonna sonora. Guai se non fosse così.
Assolutamente d’accordo.
Personalmente penso che i libri non possano andare d’accordo con la colonna sonora, però se tu dici che questo ce l’ha.. devo correre a leggerlo!
A me capita raramente Trix, lo ammetto.
***SPOILERS***
So che hai visto il film e quindi ti dico che da quando lui incontra Beverly che sta suonando al pianoforte, quella melodia non solo si riesce a sentirla da subito, ma riecheggia nel libro… è strano! :)
[…] settimane fa vi avevo parlato della mia esperienza con il romanzo di Mark Helprin, Storia d’inverno, del quale ammetto di essere venuta a conoscenza solamente grazie alle pubblicità virali del film […]
Mi incuriosisce ma quell’accenno al finale strano mi lascia gia indecisa…