Solo con gli occhi – Wataya Risa

Anni fa, alla ricerca di narrativa nuova da proporre ai miei studenti, adocchiai un breve romanzo di un’autrice giapponese a me sconosciuta, Wataya Risa (Kyoto, 1984). Il libro, il cui titolo italiano suona Solo con gli occhi (ma in origine è 蹴りたい背中, che dovrebbe significare “Calcio nella schiena” o qualcosa di simile), è stato pubblicato nel 2003: dunque è opera di una (allora) diciannovenne. Per motivi che non riesco più a ricordare, acquistai il romanzo, ma non lo lessi; da allora è rimasto sul mio scaffale della casa editrice Einaudi finché ho finalmente deciso di riprenderlo tra le mani.

Hasegawa Hatsu (voce narrante del libro) è una studentessa di liceo che, a differenza dei compagni e delle compagne, e della stessa amica del cuore Kinuyo, non vuole e non sa integrarsi tra i coetanei. Nella stessa classe c’è anche un ragazzo in una situazione simile, Ninagawa Satoshi, che si isola volontariamente riservando ogni interesse unicamente al suo idolo, la modella Oli-Chan. I due giovani si avvicinano, si frequentano, i compagni si convincono che tra loro sia nato qualcosa; ma in realtà si tratta di due solitudini ostinate e inconciliabili.

La prima impressione, leggendo il romanzo, è quella di trovarsi di fronte ad uno di quei manga/anime ambientati nelle scuole giapponesi (ad esempio Touch); ma questo accade anche con altri autori del Sol Levante, evidentemente perché si tratta di generi diversi che riflettono però la medesima realtà. Tratti tipici della cultura giapponese che compaiono nel libro sono il mito delle prestazioni vincenti e il culto della forma: aspetti della mentalità nipponica tradizionale che peraltro provocano disagio nei due protagonisti che evidentemente non vi si riconoscono.

Solo con gli occhi è un libriccino semplice, esile, che si legge senza difficoltà in un paio di pomeriggi; eppure dice più978880617986MED di quanto ad una lettura superficiale potrebbe sembrare: d’altra parte, il mondo degli adolescenti descritto da un’adolescente merita sempre attenzione. I due protagonisti rappresentano due espressioni diverse del disagio giovanile: la ragazzina è divisa tra l’orgoglio del suo anticonformismo e il bisogno di legami e di condivisione con i coetanei; il ragazzo si muove addirittura sul sottile confine del disadattamento e rifugge dalla realtà ossessionato da una modella che non ha mai incontrato. Si tratta di due giovani che si distinguono dalla massa, meno superficiali forse, sicuramente più fragili, rappresentati in quel tempo già di per sé difficile in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti e ogni cosa può apparire insignificante o gigantesca, esaltante o spaventosa, senza nessuna ragione effettivamente logica. Chiusi e diffidenti, i due ragazzi si cercano: la loro è anche l’età in cui si risveglia, spesso confuso e spiazzante, il desiderio sessuale. Ma non possono trovarsi.

La scrittrice Wataya Risa aveva già ottenuto grande successo a soli 17 anni con il suo primo romanzo; questo secondo l’ha consacrata come una delle più apprezzate tra le giovani penne giapponesi. A questo punto mi domando come reagirebbero i miei studenti di fronte ad un libro del genere: se riconoscerebbero qualcosa di se stessi o se la giovinezza di questi coetanei giapponesi suonerebbe loro del tutto estranea. Forse inizialmente si sentirebbero spaesati di fronte ad un’ambientazione certo molto distante dalla loro; ma credo che, riflettendo, potrebbero riconoscere qualcosa di sé: perché al di là delle ovvie differenze legate alla geografia (o anche alla generazione), l’adolescenza presenta dei caratteri di fondo che tendono a ripetersi.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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