Rapsodia irachena – Sinan Antoon

La storia dell’umanità ha conosciuto e conosce tuttora tante dittature e tutte si assomigliano per gli orrori di cui sono capaci, per le violenze efferate ai danni di innocenti, per il sistematico annientamento della libertà e della dignità degli uomini. Non fa eccezione il regime di Saddam Hussein, al potere in Iraq dal 1979 al 2003, che è descritto in maniera molto vivida nel toccante racconto di Sinan Antoon (Baghdad, 1967) Rapsodia irachena (I’jaam: An Iraqi Rhapsody), pubblicato nel 2004.

Furat è un giovane studente universitario di Lettere a Baghdad, proviene da una famiglia cristiana ma è ateo. Il regime, a cui nulla sfugge poiché le spie sono ovunque, non gli perdona l’opposizione manifestata attraverso discorsi, battute e piccoli gesti quotidiani di dissenso e lo fa imprigionare. Nell’agosto del 1989 uno strano manoscritto di pugno del giovane viene ritrovato in carcere dalle autorità e inviato ad un esperto che lo interpreti.

L’autore ha sfruttato, per il suo racconto, una caratteristica tipica dei caratteri di scrittura arabi: quei segni diacritici che, unici, permettono di distinguere una lettera dall’altra. Egli dunque immagina che Furat abbia composto il proprio diario di prigionia omettendo tali segni e rendendo quindi la lettura e la comprensione non impossibile ma certamente molto più complicata: sarà compito del «compagno Talal» decifrare il testo.rapsodia_irachena

È naturalmente superfluo interrogarsi sulla sorte di Furat, arrestato in un bel giorno di primavera mentre attendeva la sua amata Arij nei pressi dell’università. Quelle che leggiamo sono le ultime pagine disperate e folli di un giovane condannato. In quelle righe si alternano ricordi nitidi, racconti di sogni, deliri e allucinazioni, dopo i quali si ritorna sempre «qua(la)ggiù», nel luogo delle torture e delle sevizie. Vediamo così come agiscono tutte le mistificazioni e le violenze di una dittatura travestita da democrazia, che si insinua tanto più subdolamente e colpisce tanto più duramente lì dove il pericolo del dissenso è maggiore: nelle scuole e nell’università.

Si tratta di un racconto breve, nel quale confluiscono non pochi elementi autobiografici, anche se la sorte dell’autore è stata fortunatamente diversa (figlio di padre iracheno e di madre americana, laureato in Letteratura Inglese all’Università di Baghdad, ha poi abbandonato il Paese natale ed ora vive negli Stati Uniti): questo naturalmente conferisce particolare verità ad una storia che non è accaduta ma che sarebbe potuta accadere.

Le testimonianze di Iracheni sulla dittatura di Saddam non sono numerose, perciò è tanto più preziosa questa operetta che ricorda ora Lo scherzo di Kundera ora 1984 di Orwell (quest’ultimo citato anche esplicitamente nel racconto), ma è al tempo stesso qualcosa di ancora diverso e di assolutamente originale: una rapsodia irachena.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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