Pulp è l’ultimo romanzo di Charles Bukowski, scritto durante la sua malattia e pubblicato postumo. È sicuramente uno dei libri migliori che io abbia mai letto: umano, lucido, scorrevole, profondo nella sua semplicità, nonostante il titolo, che letteralmente andrebbe tradotto “pasticcio”.
Il protagonista, Nick Belane, è un detective, “il più dritto detective di Los Angeles”, si sente un fallito, ha tre matrimoni alle spalle, è alcolizzato, si trascina dal suo ufficio a un bar, a un altro bar, agli inseguimenti e appostamenti, al bar, all’ufficio, raramente a casa. Ha la possibilità di riscattarsi verso se stesso seguendo una serie di indagini, un marito tradito, un uomo perseguitato da un’ aliena, cui si aggiungono una serie di ricerche, che si vanno a intrecciare con le altre, commissionate da una cliente molto particolare, la signora “Morte”. Non a caso il libro è stato scritto durante la malattia dell’autore. Tuttavia la morte non viene descritta con il solito stereotipo delle ossa e del teschio, vestita magari di nero. È immaginata avvolta sì da un’aura di mistero, ma bella e affascinante, come tutte le figure femminili del romanzo, con una punta di seduzione in più, addirittura. I personaggi e le indagini sono quindi anche simbolici, stanno a metà
strada tra la realtà e l’immaginazione ed è questo che fa del libro un libro speciale, come tutti quei libri che mescolano sapientemente e con leggerezza la crudezza della vita con il sogno. Realtà e immaginazione rappresentano ovviamente la dimensione esterna e interna dell’individuo, allo stesso tempo, ed è questo che rende così piacevole la lettura: l’emozione.
La scrittura è scorrevole, lo stile reale, molto umano, senza fronzoli, senza ipocrisie, senza parole difficili messe lì apposta per darsi un tono rispetto al lettore (come invece fanno molti autori, anche apprezzatissimi da pubblico e critica). Le difficoltà e le negatività della vita, come anche la pochezza e l’imbecillità umana, sono poste in maniera reale, cruda sì ma non impressionante, come una parte inevitabile della vita stessa.
Un libro avvincente, che lascia senz’altro un senso di vuoto nel suo epilogo, come è giusto che sia. Un libro che si divora, di quelli che tengono svegli la notte. Mi è capitato di restare a dormire fuori casa e rimanerne senza e mi mancava, così come quando l’ho terminato, mi è dispiaciuto tantissimo lasciarlo. Non c’è altro da aggiungere: meraviglioso.