Nostalgia – Eshkol Nevo

Pescando tra volumi accatastati alla rinfusa in un cestone, venduti a prezzi stracciati, può capitare di imbattersi in qualche autentica chicca. Così, per puro caso, entrata in un megastore per acquistare un paio di cuffie, ne sono uscita con lo splendido romanzo Nostalgia (2004) dello scrittore israeliano Eshkol Nevo (Gerusalemme, 1971). E senza le cuffie.

L’anno è il 1995. Noa e Amir sono due studenti ebrei: lei studia fotografia a Gerusalemme, lui psicologia a Tel Aviv. Giovani, belli e appassionati, decidono di andare a vivere insieme nel villaggio di Castel, che si trova a metà strada tra le due città e dove dal 1948 si è stabilita una comunità ebraica proveniente dal Kurdistan. Noa e Amir stringono amicizia con i padroni di casa Moshe e Sima e con il piccolo Yotam, il cui fratello maggiore è morto soldato in Libano; periodicamente giungono anche le lettere dell’amico Modi, partito per l’America Latina. Un giorno arriva anche Saddiq, un operaio arabo che da bambino aveva vissuto nella casa di Moshe e aveva poi dovuto abbandonarla nel 1948 con l’arrivo degli Ebrei. Saddiq possiede ancora una chiave dell’abitazione e vuole recuperare un piccolo tesoro di famiglia nascosto dietro un mattone al di sopra della porta. Col trascorrere dei mesi, mentre la terra mediorientale è insanguinata dagli attacchi terroristici e dall’assassinio di Rabin, tutti questi personaggi si trovano a fare i conti con i rimpianti legati al passato e con le aspettative rivolte verso il futuro.

Pochi  sono in grado di raccontare il desiderio, il bisogno, il dramma del ritorno a casa, come uno scrittore ebreo. La parola “casa” può significare molte cose: amore e serenità interiore per Amir e Noa, famiglia per Sima e Moshe, rimpianto di un piccolo paradiso perduto per sempre per Saddiq, bisogno di armonia familiare per il piccolo Yotam, ricerca di sé per Modi… In ogni caso qualche cosa di irrinunciabile, senza la quale non è possibile sentirsi in pace con se stessi e concepire progetti per l’avvenire.

Nostalgia è un romanzo corale, nel quale, inizialmente, ci si muove con qualche difficoltà, perché si alternano le voci dei diversi personaggi senza che siano esplicitamente introdotte dal narratore (una voce esterna interviene solo molto raramente). Dopo però il disorientamento iniziale dovuto a questa forma particolare di narrazione, dopo anche la lentezza forse eccessiva delle prime pagine, si viene assorbiti completamente nelle vite e nelle emozioni dei personaggi, nelle loro storie tutte in qualche modo spezzate, tutte attraversate da insoddisfazioni, inquietudini, lacerazioni a cui l’autore sa dare voce con grande delicatezza e acutissima sensibilità, tanto che sembra parlare anche di noi, scavando anche dentro di noi al punto perfino da fare male. Al tempo stesso queste storie sono assolutamente uniche: non solo perché ogni storia personale in effetti lo è, ma anche perché esse sono indissolubilmente intrecciate con la Storia tormentata della terra che fa da sfondo.

Non tutti i personaggi riusciranno a tornare a casa, e anche per quelli che ci riusciranno non ci sarà un banale happy end, bensì un nuovo inizio non privo di difficoltà. Per tutti, però, e per qualcuno più che per altri, sarà impossibile credere che la loro terra martoriata possa essere allo stesso modo la casa di due popoli.

Questo resta il nodo drammatico, prima di tutto storico e politico, che finora nessuno ha sciolto: i grandi governi e potentati del mondo continuano ad alimentare odio e conflitti in Palestina per interessi economici e per ragioni di prestigio internazionale; e intanto si continua a morire, in guerra o negli attentati, da una parte e dall’altra. E il solco tra i due popoli, invece di colmarsi, si allarga.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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