Norwegian Wood – Murakami Haruki

Non compro mai  libri di autori cinesi/giapponesi.
Sono diffidente e non so bene perché. Forse perché sono pieni di vocaboli che non conosco e che devo andare a ricercare nel glossario alla fine (sempre se c’è) tipo oshiree o soba o yakuza.   

C’è qualcosa di terribilmente fastidioso nel non comprendere nell’immediato quello che un libro mi sta raccontando: è come se mi staccassi dalla storia, distraendomi per poi rientrarci dentro con molta difficoltà.
Norwegian Wood mi è stato donato come regalo di laurea da un vecchio amico che non frequento più come al tempo del liceo.

La dedica che mi ha fatto sul frontespizio, ha reso questo libro uno dei regali migliori di quella giornata.

Non conosco Murakami Haruki, confesso la mia ignoranza, ma il semplice fatto che sia stato pubblicato da Einaudi con tanto di Introduzione, mi lascia capire che questo Haruki sia un noto e prolifico scrittore.
Norwegian Wood (che poi è il titolo di una canzone dei Beatles – l’ho scoperto solo leggendo -) è un libro ostico per quasi più della metà della sua storia: non ci si riesce ad affezionare a questo antieroe, troppo complicato, troppo strano, troppo diverso.
E poi c’è la presenza pregnante della morte. Molta gente muore in questo libro, molta gente soffre, molta gente è lacerata.

Poi c’è la questione sessuale, trattata con grande naturalezza, senza falso pudore, raccontata nella realtà dei fatti a volte squallidi, a volte estremamente teneri.

E poi, quando stai quasi iniziando a stancarti della storia, improvvisamente ti ci ritrovi impantanato. È come quando ti ritrovi innamorato di qualcuno e non hai idea di come questo sia potuto accadere.  Sai solo che lo ami.
A me è successo esattamente così con il protagonista, mi ci sono affezionata. Ormai sapevo tutto di lui.
Ma ancora di più mi sono affezionata alle splendide figure femminili che Haruki descrive nel suo libro: l’eterea e fragile Naoko, la sfacciata e solare Midori, perfino Reiko la più vecchia e borderline del gruppo, riesci a legarti a lei in una maniera quasi dolorosa.

C’è una cosa che questo libro mi ha insegnato: non importa la nazionalità di chi scrive e dove ambienta i suoi romanzi; l’universalità dei sentimenti, l’inquietudine di un processo di crescita, il calore di un contatto umano, l’importanza di un abbraccio, sono uguali esattamente in tutti i luoghi (e non luoghi) del mondo.

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Recensione di
Sara D'Ellena

«La mia intenzione è raccontare una storia: in primo luogo perché la storia viene da me e vuol essere raccontata.» Philip Pullman.
Raccontare storie e costruire librerie (immaginarie ovvio!) è la mia passione e la mia unica missione.

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