Cerchiamo spesso di dare un senso alla vita, ma si tratta di una forzatura da parte nostra. L’esistenza è fatta di libri dimenticati e ritrovati, verdure affettate, paura di tuffarsi da una barca, primi baci raccontati alla compagna di banco, pulizie di casa, genitori autoritari, passeggiate in bicicletta. Per Bianca Maria Carchidio, insomma, la vita è negli angoletti a cui non facciamo caso ma qui descritti con abilità dall’autrice.
La narrazione procede su due piani paralleli: uno comincia in tempo di guerra, quando una famiglia lascia la città e si rifugia in paese per evitare i bombardamenti, arrivando ai giorni nostri o quasi; l’altro si svolge nel presente, su una barca, e ha come protagonisti una famiglia e un telefono cellulare.
“L’occhio del coniglio” non racconta una storia, ma frammenti di vita – in stile carveriano, forse. Piccoli gesti, sorrisi più che risate, sguardi più che parole, detto senza dire. Non vi aspettate una vera e propria trama, ma gustatevi una scrittura felice che dipinge degli scorci, come un pittore che metta bene a fuoco ciò che ha davanti e che sfugge ai più.
Wow,con poche righe sei riuscito a incuriosirmi.