Lo scaffale della Poesia #4 Salvatore Quasimodo

 

In questi giorni, presso l’Università di Poitiers, si sta tenendo un ciclo di conferenze sul tema “Sonetto e politica”, ed io ne sto prendendo parte. Devo dire di essere rimasta in parte delusa dagli interventi che sono stati fatti: l’argomento è decisamente troppo circoscritto per avere la necessitá di parlarne esaustivamente per più di tre giorni, così come il binomio tra sonetto e discorso politico è un pochino fuori dalla realtá dell’esegesi di questa forma poetica. Per cui, volendo in partenza parlare un pò di quel che è stato detto fin’ora a Poitiers, ho cambiato idea e mi fa molto piú piacere parlare di uno dei poeti italiani a me piú cari.

Non voglio qui, ora, riassumere didascalicamente l’entourage e le coordinare dello sfondo sociale di Quasimodo, vorrei parlare un pò di piú della bellezza del suo linguaggio, bellissimo e musicale, suggerente magnifiche immagini e sentimenti, pur non costruita attraverso forme metriche ma nella libertá dei versi sciolti.

La mia giornata paziente
a te consegno, Signore,
non sanata infermità,
i ginocchi spaccati dalla noia.

M’abbandono, m’abbandono:
ululo di primavera,
è una foresta
nata nei miei occhi di terra.

Qui abbiamo, se lo vogliamo incastonare nei nostri schemi didattico-storici chiamiamolo ermetismo (e non facciamo male), un confluire di desideri e sentimenti riprodotti su carta mediante una sintassi così leggera, così traslucida da mozzarci il fiato. Traslucida perchè ogni parola e ogni sintagma verbale (frase) rimanda ad echi più profondi, come quella non sanata infermitá, sinonimo del sacrificio del vivere, e nell’abbandono, in quel fidarsi – affidarsi a Dio, l’ululo della ribellione della vita, impersonificata dalla primavera, che è anche il tempo della scrittura; infine la foresta, sinonimo della vita, nata in quei suoi occhi di terra, colore genetico e simbolo dell’humus, nonchè specchio dell’anima, ci fa pensare a qualcosa di nuovo, di grande e maestoso nato nel suo animo. Ma questa è pur sempre una mia personale interpretazione, come anche quella che seguirà.

Ed ecco un novenario:

In alto c’è un pino distorto;
sta intento ed ascolta l’abisso
col fusto piegato a balestra.

Rifugio d’uccelli notturni,
nell’ora più alta risuona
d’un battere d’ali veloce.

Ha pure un suo nido il mio cuore
Sospeso nel buio, una voce;
sta pure in ascolto, la notte.

Non so a voi ma a me, quello che lascia incantata di Quasimodo, è quel “soffondersi” di natura e mistero, un “mistero del reale”, forse onirico ma fatto di dati e soggetti del reale, della realtà: non c’è spazio per il “fantasy”, la realtá per lui è traboccante di bellezza, di fantasy non ne ha bisogno. Ne abbiamo letti tanti nella storia di paragoni tra l’intimo umano e la natura, ma…come questo…Il pino distorto per esempio è un sintagma fortemente descrittivo, così, nella sua breve essenzialitá: non si forma anche nella vostra mente, nel leggerlo, l’immagine, forse uno schizzo, un quadro ombreggiato dai toni blu notte, grigio e verde scuro, nero, dell’arbusto ritorto e piegato in basso verso la terra? “Sta intento ed ascolta l’abisso” come la notte è in ascolto, il cuore dormiente, il cuore libero come un uccello notturno, che si fa sentire solo per il suo frullare d’ali, nel silenzio quieto del riposo naturale. E quella parola, abisso, non rimanda forse all’infinito dell’anima, dagli infiniti moti?

 

 

 

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Recensione di
Vivien

If you wish to travel far and fast, travel light. Take off all of your envies, jealousies, unforgiveness, selfishness and fears.

(From Victoria Hostel kitchen wall, London, 6th April 2014)

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