L’inferno avrà i tuoi occhi – Silvia Montemurro

Nel 2000, tre ragazzine adolescenti di Chiavenna, in provincia di Sondrio, uccisero a sangue freddo e con grande violenza Maria Laura Mainetti, una suora della cittadina, completamente indifesa e ignara di quanto stava per accadere, poi andarono al Luna Park, quasi fosse una sera come tutte le altre. Il delitto è ancora oggi ricordato come uno di quelli che più ha scosso la morale comune, in parte per la giovanissima età delle ragazze, in parte perché si è trattato di qualcosa di completamente gratuito e pianificato: la vittima, infatti, è stata scelta a caso, prima di quel momento non aveva alcun tipo di legame con le ragazze, che l’hanno individuata quale vittima designata per un non meglio precisato rituale di sacrificio a Satana.

Io sono molto legata a Chiavenna e alla valle. Trascorro parte delle mie ferie estive e invernali a Madesimo ogni anno da quando avevo tre mesi, e Chiavenna è un passaggio obbligato per raggiungere quel piccolo paese fatato lassù, immerso nel nulla e circondato da montagne, il comune italiano più lontano dal livello del mare. Inoltre, ho un ricordo che mi lega a questa vicenda: quando avevo vent’anni, ero a Madesimo con alcuni amici che ospitavo a casa mia per l’estate. Un giorno, decidiamo di scendere a Chiavenna e di trascorrere lì la serata: la cittadina è bellissima, con le sue mura e le vie strette, intrisa di un romanticismo malinconico che solo i luoghi di frontiera possiedono, schiacciati come sono tra due mondi. Passeggiando, raggiungiamo un posto che sembra stupendo: la via per le Marmitte dei Giganti. Natura, notte estiva, lucciole, quella sensazione di essere nel posto giusto che solo a quell’età riesci a provare. All’improvviso, però, un sottile filo di inquietudine si fa largo: la via diventa sempre più stretta e tortuosa, la notte sembra più buia, qualcosa non torna – e all’improvviso ci spunta davanti una stele alla memoria di Maria Laura Mainetti. Era lì, proprio lì che era stata uccisa, in una notte del tutto normale come quella che stavamo vivendo noi. Corriamo subito via, senza sapere bene perché: non c’è nessun pericolo apparente, tutto è come prima eppure allo stesso tempo diverso. Ancora oggi penso che quello che ci ha sconvolto in quel preciso momento è stata la consapevolezza che il male e l’oscuro si possono annidare anche nei luoghi più impensati, per saltare fuori all’improvviso, quando meno te lo aspetti.

L’inferno avrà i tuoi occhi è un libro che riprende parte di questa vicenda, sospendendola tra realtà e fantasia. L’autrice 9788854147416_L'InfernoAvraITuoiOcchiimmagina e prova a raccontare il punto di vista di una delle tre ragazze, Vanessa (ispirata in realtà a Veronica) ormai diventata adulta e dopo aver pagato il suo debito con la giustizia. Vanessa aspetta un bambino non realmente voluto, e questo la porta a vivere un complesso tormento interiore: come può una persona come lei, che è stata capace di commettere qualcosa di tanto orribile, dare la vita a qualcun altro e guardarlo negli occhi, senza che questi le riportino involontariamente alla mente il delitto che ha commesso?

Vanessa deve prendere una decisione al più presto, e per farlo sceglie di tornare a Chiavenna, città che rappresenta per lei attrazione e repulsione, amore e odio. Non sa bene perché, ma sente che solo così potrà trovare una risposta al dilemma che sta vivendo. Una volta lì, con la sensazione di vergogna e senso di colpa che non la abbandona mai, i fantasmi del passato cominciano a tornare – ripercorre la sua amicizia con Elena e Samantha (anche questi nomi di fantasia), la noia profonda e pesante che annebbiava le loro giornate, i loro tentativi di ribellarsi, la voglia di fuggire da una cittadina di provincia senza prospettive, i giorni che scorrono tutti uguali, le prime trasgressioni – fino al crescendo di follia che le ha portate a pianificare e compiere il delitto. Il racconto è inframmezzato con stralci del diario di Silvia, l’autrice del romanzo, che da sempre prova una strana fascinazione nei confronti di questa vicenda, tanto da decidere di farne l’argomento della sua tesi in Criminologia.

L’esordiente Silvia Montemurro firma un romanzo molto bello e splendidamente scritto, in cui cerca di esplorare a fondo – con delicatezza, con attenzione – il concetto labile della banalità del male. Non giudica, ma non cerca nemmeno di far empatizzare a tutti i costi il lettore con la protagonista che resta – dall’inizio alla fine del libro – un’assassina, consapevole di esserlo. La scelta di dare un’anima a Veronica è un tentativo di speranza più per noi che per lei: convincersi che in fondo non erano del tutto convinte, che la situazione è sfuggita di mano, che c’è un’ombra di pentimento – è qualcosa che ci tranquillizza. Perché l’idea di affacciarsi a fondo nella assoluta quotidianità del male, che può esplodere all’improvviso, senza motivo, senza giustificazioni, solo per riempire una serata più vuota delle altre, una vita che è ancora ai suoi inizi ma che già mostra una preoccupante consapevolezza della tristezza e mancanza di senso che permea tutte le cose, che davvero si può uccidere una persona solamente per noia, è qualcosa di troppo spaventoso da accettare. Perché è come se ci dicesse: potrebbe succedere anche a te.

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MaddalenaErre
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