Lettera a un religioso – Simone Weil

Premesso che io non sono minimamente attrezzato per disquisire di teologia, vorrei provare ad allargare l’orizzonte delle recensioni di questo blog all’opera di una personalità di credente di grande rigore intellettuale e inflessibile coerenza; non per par condicio con le recensioni di testi “scientisti” – nei quali io stesso mi ritrovo di più – ma per non dimenticare che anche il mondo della fede sa esprimere figure di spessore assoluto, la cui voce è purtroppo quasi sempre sommersa dal berciare chiocciante e bigotto di torme di ignoranti. La persona in questione è Simone Weil, borghese parigina di ricca famiglia ebrea che fu insegnante di liceo e poi operaia nelle officine Renault, comunista trotzkista, pescatrice in Portogallo, combattente antifranchista e infine mistica, sempre in cerca di una verità e di un senso che probabilmente non riuscì mai a trovare. Tutto questo in 34 anni, quale fu la durata della sua vita.
Questa lettera a un religioso (che non rispose mai) a me pare l'embrione di un manifesto per una chiesa e una dimensione pubblica della fede che purtroppo storicamente non sono esistite mai. L'autrice desidera ardentemente il battesimo e, anche se non lo dice, sa benissimo di avere poco da vivere, minata dalla tubercolosi; non per questo è disposta a venire a patti con la sua vocazione, che – chiarisce lei stessa – è quella di passare tutto al vaglio dell'intelligenza. E questo chiede, con quella chiarezza estrema che sconfina nella durezza, al religioso a cui si rivolge: posto che lei non è disposta ad abdicare all'uso della ragione, è disposta la chiesa ad accoglierla così com'è? Sono conciliabili le sue opinioni con l'appartenenza alla Chiesa cattolica di Roma? Lei chiede con l'urgenza di chi ha bisogno, sollecita una risposta che non arriverà, e nel chiedere va svelando queste sue opinioni che altro non possono essere che eretiche, alle orecchie dell'ortodossia: la rivelazione non più come fatto storico circoscritto nel tempo e nei luoghi, ma piuttosto evento in accadimento perenne, che illumina tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni civiltà; la salvezza che non è dono esclusivo di una comunità, in quanto disponibile per tutti, compresi gli atei che agiscono bene secondo lo spirito; i miracoli ridimensionati a fatti tutto sommato secondari, e comunque ricondotti a una dimensione potenzialmente razionale, senza che per questo cessino di essere ciò che sono, e cioè prodigi. E tra una domanda e l'altra va delineandosi l'immagine di una Chiesa che non impone, ma propone, che accetta nel suo seno coloro che si interrogano, che non rifiuta agli individui la ricerca, e che pone come unica condizione di appartenenza la fede in un Dio buono. Una chiesa vasta e inclusiva, il contrario di ciò che è diventata oggi. E che era anche allora, se in fondo la vera preoccupazione degli interlocutori della Weil era semplicemente trovare il modo di battezzarla, cosa che non avvenne mai. O forse sì, sul letto di morte, come qualche tardiva testimonianza è arrivata infine a notificarci. Per arruolare anche lei, lucida o no che fosse alla fine delle sue ore, nella legione sterminata di quelli che alla fine hanno comunque baciato la sacra ciabatta.

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