Le correzioni – Jonathan Franzen

Ovvero: la saga dei Lambert, partendo dai genitori Alfred e Enid e arrivando alle odissee dei figli Chip, Gary e Denise.

Alfred, ormai vittima del Parkinson e sull’orlo della demenza, è sempre stato un uomo ligio al senso del dovere, onesto lavoratore per una compagnia ferroviaria; il suo orgoglio e la sua testardaggine non hanno reso la vita facile ai figli e alla moglie, che ha fatto la serva per lui e ne ha subito gli sfoghi nei brevi periodi in cui tornava a casa dal lavoro.

In questo romanzo Franzen racconta i fallimenti della nostra generazione, peggiori di quella precedente. Pur avendo maggiori possibilità di successo, ne abbiamo avute anche di fallimento. Si comincia a vent’anni con grandi aspettative, ci si sposta in città, si lavora tanto, convinti che l’impegno verrà ripagato, e una volta raggiunta una posizione professionale soddisfacente ci si accorge che c’è un vuoto da riempire, quello affettivo. “Le correzioni” del titolo andrebbero applicate al comportamento dei propri genitori per non commettere gli stessi errori, ma così come Alfred ha dedicato la sua vita al lavoro, relegando i suoi affetti in un angolo – cercando di recuperare alla fine della sua vita – così Chip e Denise hanno rovinato le loro carriere  – il primo all’interno dell’università e poi come aspirante sceneggiatore, la seconda come chef di primo piano; Gary, il figlio saggio e l’unico che non ha problemi professionali, è invece succube della moglie e dei loro tre figli, ed è il Lambert che più ha a cuore la sorte dei suoi genitori. Alla fine, insomma, bisogna pagare in qualche modo.

Il romanzo inizia introducendo gli oggetti della vita quotidiana dei due anziani, come le immagini nei titoli di testa di un ipotetico film. Superata questa prima parte, troviamo le vicende dell’intera famiglia, con una discreta quantità di colpi di scena.

La crociera dei Lambert, con il declino mentale di Alfred, richiama un po’ “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace, per l’associazione tra lusso e nichilismo e per i pensieri suicidi dell’anziano.

Seicento pagine di grande valore, con il fallimento come fatalità e gli affetti a cercare di tenere insieme le persone in maniera precaria, solo per ricominciare da capo, in maniera diversa, da qualche altra parte.

 

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Recensione di
Antonio Soncina

Odio i best seller, soprattutto se di sfumature rosa, gialle o grigie. Ai classici preferisco storie contemporanee. Posso sopravvivere senza il rinomato "odore della carta" ma non con il Kindle scarico.

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