La sorella – Sándor Márai

Non molti anni dopo il romanzo che viene considerato il suo capolavoro, Le braci, Sándor Márai (Košice, 1900 – San Diego, 1989) pubblicò un altro romanzo malinconico e denso intitolato La sorella (A nõvér, 1946). In esso si ritrovano caratteristiche tipiche della narrativa di questo autore ungherese riscoperto e apprezzato solo dopo la morte: ritmo lento, atmosfere cupe, lucidità esasperata e passioni ossessionate.

Nel Natale del 1942, mentre la guerra devasta il mondo, un anziano e famoso musicista di nome Z. si trova in una stazione termale di montagna. Taciturno e schivo, egli si confida tuttavia con un altro cliente (narratore interno della prima parte del romanzo), uno scrittore suo vecchio conoscente incontrato lì per caso. Mesi dopo quest’ultimo viene a sapere della morte di Z. e riceve un suo manoscritto in cui il musicista raccontava la vicenda della malattia che l’aveva colpito tre anni prima mentre si trovava in Italia per un concerto.  Le memorie di Z. costituiscono la gran parte del romanzo, rispetto alla quale la vicenda della stazione termale fa semplicemente da prologo (pur fondamentale per l’interpretazione complessiva dell’opera). Il significato del titolo del libro si comprende solo a narrazione molto avanzata: la “sorella” è una delle quattro suore che assistono Z. durante i mesi difficili della malattia, quella che in qualche modo lo riporta alla vita.

Il racconto procede lento e la malattia di Z. è da lui stesso descritta e scandagliata con una precisione ossessiva dal primo segnale fino alle dimissioni dalla clinica fiorentina, passando attraverso dolori lancinanti e stordimenti e allucinazioni da oppiacei. Z. non si limita però a ripercorrere la sua storia clinica, ma rievoca anche i sentimenti altalenanti di paura, speranza, disperazione e le riflessioni tormentose che lo hanno accompagnato in quei mesi. Con la stessa precisione introspettiva Z. delinea i ritratti degli altri personaggi, il professore che lo cura e il suo assistente, le quattro “sorelle” infermiere e, lontana ma in realtà presente, E., la moglie di un diplomatico amata da Z. di una passione assoluta ma del tutto platonica.8ae26155b9afbbdcfb239870d23f60ac_w190_h_mw_mh

Come nelle Braci, Márai si proietta in un personaggio ben più anziano di lui, che colloca in un’atmosfera cupa: la guerra incombente o in atto, qui come lì, crea intorno agli eventi delle vite dei personaggi un’atmosfera di morte. A questo destino di dissoluzione non si scampa: come spiega Z. al suo conoscente nella stazione termale, tutte le cose belle della vita e la vita stessa richiedono sempre un prezzo, un sacrificio, e la ragione umana nulla può contro eventi tanto più grandi e imperscrutabili; l’unica forza si può trovare nella fede. Come nelle Braci anche in questo romanzo l’amore è rappresentato come passione distruttiva: nella Sorella però c’è anche una riflessione più ampia sulla passione (non solo amorosa) che diventa ossessione, che diventa perfezionismo maniacale e quindi una trappola, un meccanismo spersonalizzante e letale. La malattia si rivela quindi la reazione del corpo e dell’anima che vuole liberarsi, ma è un’occasione (che forse è Dio stesso ad offrire) che bisogna saper cogliere senza abbandonarsi al dolore e alla voluttà della distruzione.

C’è una morbosità che attraversa l’intero romanzo, più esasperata che nelle Braci, che può infastidire qualche lettore come deliziarne altri: i personaggi hanno tutti un’interiorità estremamente complessa, tormentata, ossessionata, in qualche modo “malata”. Forse di quella stessa malattia che risparmiò Z., pure al prezzo di dolorosi sacrifici, ma non lo scrittore, che, seppure molti anni dopo, morì suicida.

Condividi
Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

Vedi tutte le recensioni
Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Recensione di D. S.