La città marcia – Bianca Stancanelli

Strano che, a poche settimane dall’uscita in libreria del libro La città marcia di Bianca Stancanelli (Marsilio editori), tutta l’Italia s’è ritrovata scaraventata in un vortice di polemiche e discussioni. La causa è, naturalmente, lo “scandalo” di cui si è ampiamente parlato in ogni piazza, ambiente e piattaforma (virtuale quanto reale): Riina Junior ospite a Porta a Porta, Riina Junior intervistato da Bruno Vespa e, notizia ancora più agghiacciante, Riina Junior autore di un libro che vuole raccontare la storia del boss più ricercato e chiacchierato degli ultimi trent’anni.

Inutile intavolare il discorso di quanto sia preoccupante questo evento per l’Italia e la sua storia. “L’Italia ha rispetto degli idioti, degli incapaci: non ritiene che sia giusto cacciarli. Dovunque nel mondo se qualcuno affrontasse le critiche dichiarando di aver sbagliato perché non sapeva, sarebbe mandato via. In Italia glielo si perdona, e si apprezza la sincerità”, scrive la Stancanelli.

Tutti gli sforzi di chi combatte la mafia, tutti i morti illustri che abbiamo dovuto seppellire, tutta la nostra voglia di giustizia e libertà vengono calpestate da eventi come questo.

Ma per fortuna, c’è ancora qualcuno che desidera raccontare la storia della mafia per quello che è stata, senza suture e dolcificanti, senza peli sulla lingua e, soprattutto, senza paura di guardare il mostro dritto negli occhi.

Bianca Stancanelli, giornalista e scrittrice siciliana, ricostruisce una storia difficile, tetra, oscura e avvolta nel mistero più fitto. Nel suo ultimo libro, La città marcia (Marsilio), la giornalista racconta la storia di Giuseppe Insalaco, figura che ha assunto, nel corso degli anni (e delle diatribe retoriche avanzate da ogni partito politico) dei tratti sempre più indistinti, opachi, confusi. Ciò che per anni hanno tentato di fare, ovvero far calare una nebbia più fitta del reale sulla storia di quest’uomo siciliano, gli è infine riuscito: tutt’ora il delitto Insalaco è rimasto privo di spiegazioni chiare e, soprattutto, nessuno ha pagato per questa morte.stancanelliCITTAcover

“Non amo la dietrologia e detesto il complottismo: sono fratello e sorella, figli immaturi di una democrazia fragile, che avanzano abbracciati in un paese che ha paura della verità”, dichiara la giornalista, facendo intendere che ciò che le sta a cuore è proprio la ricerca di questa verità che in molti temono.

Giuseppe Insalaco è stato, dal mese di aprile al mese di luglio del 1984, per 101 giorni precisi, il sindaco di Palermo. È morto il 12 gennaio 1988. Morto ammazzato.

“Ventisette giorni dopo la sentenza del maxiprocesso, Insalaco viene ucciso. Morto lui, ecco che uno dopo l’altro, magistrati, poliziotti, gli eroi civili che l’Italia ama piangere quando muoiono e ignora o combatte finché sono in vita, gli eroi civili che avevano costruito il maxiprocesso vengono dispersi, umiliati, sconfitti, allontanati. Ma non dalla mafia: dallo Stato. E il primo a essere sconfitto, umiliato, è Giovanni Falcone.”

Bianca Stancanelli affronta minuziosamente e nei dettagli la storia di quest’uomo, chiedendosi per quale motivo un ex sindaco, circondato da nemici e ormai privo di sostenitori, sulla quale figura gravava (e, paradossalmente, grava ancora) la bolla del dubbio, della sfocatezza e dell’infamia, dovesse meritare di morire giustiziato per le strade della sua amata città. Ucciso da due assassini con quattro colpi di pistola.

“Sapere, tacere: la mafia è una cultura del silenzio. Di Insalaco, a Palermo, ancora oggi si dice che parlava troppo. Che l’hanno ucciso per questo.”

Chi lo ha ucciso? E per quale motivo?

La straordinaria e meticolosissima ricostruzione della vita politica (e non) di Insalaco, che la Stancanelli pubblica in questo libro, sconvolge ed esaspera un tema a cui ci siamo ormai abituati. Il clima politico e sociale nel quale l’ex sindaco era immerso, durante quei difficilissimi anni a Palermo e in tutta l’Italia, è un clima mai scomparso ma semplicemente nascosto dietro un velo oltre il quale temiamo di scorgere la realtà in cui siamo immersi. La mafia. Si, perché la storia di Insalaco è a tutti gli effetti collegata a doppio filo con quella della criminalità organizzata, negli anni in cui la guerra tra diverse bande distruggeva l’intero equilibrio dell’Italia.

“C’era la guerra. E ci fu chi la guerra se la portò nel cuore e la combatté dilaniandosi, e divise la sua vita in un prima e in un dopo che non si assomigliavano. Ci furono talmente tanti morti ammazzati che ciascuno negli anni a venire poté scegliere quali celebrare e quali dimenticare, a chi dedicare targhe parchi piazze monumenti e chi seppellire per sempre.”

Sin dall’inizio della sua carriera politica, Insalaco sembra esser stato collegato con la mafia, quella siculo-americana che faceva capo alla famiglia di Stefano Bontade. Molte cose sono state dette, moltissime parole spese da ogni fronte per infangare la figura di Insalaco (prima e dopo la sua morte), per farlo apparire come un mafioso, un sindaco corrotto da Cosa Nostra.

Ma dov’è la verità su quest’uomo, che durante il suo mandato fece tutto il possibile per sottrarre alle cosche mafiose l’assoluto controllo del “mercato” lucrosissimo degli appalti pubblici? La sua è stata una mossa politica dovuta alla presa di posizione e all’appoggio verso una cosca piuttosto che un’altra, durante la guerra sanguinosissima tra le diverse bande mafiose, o aveva davvero intenzione di mettere i bastoni tra le ruote a tutto l’apparato mafioso?

“Il messaggio è che la politica non può consumare i suoi riti prevedendo tra questi riti anche l’omicidio. La politica come religione che uccide è inaccettabile”, scrive la Stancanelli.

Centinaia di testimonianze, interrogatori, processi, sentenze, articoli e ritagli di giornale, interviste e citazioni fanno di questo saggio un’opera magna, completa, dettagliatissima e clamorosamente chiara. Bianca Stancanelli mette a confronto tutte le ipotesi avanzate sulla figura, sulla vita e sulla morte di quest’uomo così misterioso, sul quale per anni è calato il velo della disinformazione. E sul quale certi ambienti hanno tentato di gettare fango e nebbia. E il giudizio finale è un vero e proprio dovere che spetta al lettore, cui compete una seria presa di coscienza.

“E viene da dire, malinconicamente, che se lo Stato prendesse ispirazione dalla mafia, dal rispetto delle regole che la mafia esige, avremmo un miglior Stato – o forse saremmo in miglior stato. Ma è un paradosso, o una provocazione.”

Con immensa passione e amore, Bianca Stancanelli ricorda gli eroi che hanno combattuto la mafia: Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Giuseppe Impastato, Boris Giuliano, Piersanti Mattarella, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Pio La Torre, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Mario D’Aleo, Salvatore Scaglione, Emanuele Basile.

E allo stesso modo, non teme di scrivere i nomi di coloro che hanno macchiato l’Italia del sangue dei nostri eroi: Stefano Bontade, Totò Riina, Vito Ciancimino, Tommaso Buscetta, Franco Restivo, Raffaele Ganci, Giovanni Brusca, Bernardo Brusca, Angelo Siino, Salvo Lima, Michele e Salvatore Greco, Don Paolino Bontade, Giovanni Gioia, Bernardo Prudenzano, Licio Gelli, Francesco La Marca, Bruno Contrada, Calogero e Domenico Ganci, Antonio Galliano, Francesco Paolo Anzelmo.

“È urgente avvertire chi si fosse illuso che qualcosa è cambiata in Sicilia, che cambiare è vietato.”

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Recensione di
Federica Bruno

Lettrice affiatata, non riesco a smettere di scrivere, scrivere, scrivere. Amo i libri gialli, l'ironia e la parmigiana di melanzane.

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