Un romanzo storico…ma anche una storia d’amore…ma anche un thriller psicologico…e perché non metterci un fantasma?!
Dite: non sembra l’incipit di una pubblicazione di Walter Veltroni?
Eppure c’é tutto questo ne “l’ospite” di Sarah Waters.
Ma andiamo con ordine.
Credo fermamente che la dimensione letteraria sia l’unica in grado di rendere “reale” l’incontro con un fantasma.
I film sono troppo legati all’immagine e non riescono a scavare l’inquietudine che tale incontro può generare.
L’ospite é lo strumento per dare ragione a questo pensiero; che poi fino a pagina 200 non succede niente (NIENTE) che porti linfa alla mia tesi poco conta.
La narrazione é di una goduria immensa e gli si perdonano le incursioni nel romanzo rosa (prima) storico (poi) per finire nel gettarsi nella psicologia.
Ma, come tutte le ghost story che si rispettino, la paura viene seminata in piccole quantità, minuscoli nuclei di angoscia lasciati a germogliare tra le pieghe di una magione in rovina.
Tra le maglie di una famiglia che sta perdendo tutto s’insinua l’ombra di un passato funesto. La presenza che spinge fuori il nuovo e attrae morbosamente il vecchio.
Non so voi cosa cerchiate da una storia di fantasmi ma io ho ottenuto ciò che volevo.
In più, subito dopo aver saggiato la paura, si viene lasciati soli e tremanti, nella tenue luce del mattino che avvolge il corpo mal riposato, a chiedersi:
é successo davvero o la mia mente ha giocato un brutto tiro?
Il dubbio; fine escamotage della waters per regalare emozioni forti.
Tacciatemi d’ipersensibilità (così mi metto a piangere) ma per un paio di giorni ho preferito gli spazi aperti e assolati.