In Patagonia – Bruce Chatwin

Viaggiare. Il bisogno di ogni uomo irrequieto, la passione di ogni uomo affamato di conoscenza. La migliore metafora della vita. In tempo di Coronavirus viaggiare non è consentito; ma un buon libro è sempre anche un bel viaggio. Se poi il libro in questione racconta un viaggio, diventa probabilmente la lettura ideale. Avevo trovato citato In Patagonia (1977) di Bruce Chatwin (Sheffield 1940 – Nizza 1989) in un altro libro e mi ero ripromessa più volte, incuriosita, di leggerlo. Con la pandemia è arrivato il momento giusto: fisicamente restiamo a casa, ma con la mente seguiamo l’autore in Patagonia.

Il libro è un racconto di viaggio che ripercorre l’itinerario seguito dall’autore nel 1974, sulle tracce di un lontano parente e di una pelle di milodonte. Buenos Aires, La Plata, Bahía Blanca e poi, a partire dal Rio Negro, la Patagonia, fino alla punta più meridionale del continente americano, la Terra del Fuoco; attraversando cittadine e paesi, deserti e praterie, isole e stretti, fino alla caverna di Last Hope Sound nella Patagonia cilena; incontrando russi, gallesi, persiani, spagnoli, boeri, tedeschi, meticci e indios.

Il libro è affascinante: i luoghi sono descritti con ricchezza di dettagli e allo stesso modo gli uomini e le donne incontrati lungo il viaggio; ogni tappa è occasione per raccontare aneddoti della storia più remota e più recente di quelle terre, dalle prime esplorazioni dei conquistatori europei alle vicende (in verità queste solo accennate) dei governi di Peròn, di Allende e di Pinochet, passando per le ricerche di Charles Darwin e le imprese di avventurieri come Orélie-Antoine de Tounens e banditi come Butch Cassidy.

Indubbiamente alcuni capitoli sono eccessivamente prolissi e possono risultare noiosi; le digressioni tecniche sono talvolta pesanti; il gran numero di personaggi e luoghi può confondersi nella mente del lettore. Ma ci sono capitoli spassosi, come quello dedicato all’avvocato Orélie-Antoine de Tounens che divenne primo re di Araucania e Patagonia; altri molto interessanti che riguardano la cultura delle popolazioni indigene, come quello sulla lingua degli indigeni Yaghan; altri ancora toccanti, che di quegli stessi indios raccontano la sorte dopo l’arrivo degli Europei, come quello che racconta la tentata fuga degli indigeni dall’isola di Dawson… fino agli ultimi venti e più capitoli dedicati alle avventure del navigatore Charley Milward, cugino della nonna dell’autore.

Sicuramente In Patagonia va riletto; ma non tutto di seguito, bensì scegliendo una località o un personaggio e ritornando ad incontrarli, ancora e ancora, insieme al giovane Bruce.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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