Il visconte dimezzato – Italo Calvino

Nel 1952 usciva il primo dei romanzi di Calvino (Santiago de Las Vegas, 1923 – Siena, 1985) che, insieme al Barone rampante e al Cavaliere inesistente, sarebbe rientrato nella raccolta I nostri antenati del 1960.

In un anno non precisato del XVII secolo il giovane visconte Medardo di Terralba giunge in Boemia per combattere contro i Turchi. Al primo scontro una palla di cannone lo centra in pieno e lo divide in due parti perfettamente simmetriche. La metà destra viene miracolosamente ritrovata viva e rientra in patria, ma ben presto si rivela essere la parte malvagia del nobiluomo, che in maniera spietata e disperata insieme si dà a devastare i luoghi e a tormentare gli abitanti. Col tempo si scopre che anche la metà sinistra è sopravvissuta: si tratta della parte buona, che con un impegno costante, ma anche pedante e molesto, si dedica a rimediare alle malefatte dell’altra.

Come nei due romanzi successivi, l’elemento che immediatamente balza all’attenzione del lettore è il gusto calviniano per la narrazione fantastica, ironica ed anche amara. Lo stesso autore, trentuno anni dopo, spiegava a degli studenti pesaresi di aver voluto trasmettere il suo messaggio attraverso un racconto che fosse divertente, che invogliasse alla lettura. Il romanzo è però anche, come scrisse ancora lo stesso Calvino sulla rivista Mondo nuovo nel 1960, una riflessione sull’ “essere”.

Che si tratti della prima riflessione sul tema si avverte chiaramente, poiché dei romanzi della trilogia Il visconte dimezzato è il meno vivace e originale sul piano dell’invenzione e quello in cui più pesano i significati simbolici e metaforici che vengono attribuiti ai personaggi (questi significati li spiegò lo stesso autore sull’Unità nello stesso anno 1952 e poi in altre occasioni).
Nonostante qualche debolezza, dal racconto si possono trarre importanti spunti di riflessione.
È vero, come ha scritto lo stesso Calvino nella prefazione al volume I nostri antenati del 1960, che nel romanzo prevale l’uomo «dimidiato», l’uomo diviso, rappresentato dalle due metà del visconte: segno di tempi in cui l’uomo si sentiva effettivamente tale, ma forse anche riconoscimento che la totalità è un miraggio.

Tuttavia si potrebbe trarre una “morale della favola” in termini assai semplici: l’essere umano contiene in sé il bene ed il male: questa è l’essenza del suo limite ma anche il seme della sua grandezza, purché riesca a dominare la componente negativa senza perdere la straordinaria ricchezza che, paradossalmente, deriva proprio dalla sua fragilità e dalla sua fallibilità.

Condividi
Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

Vedi tutte le recensioni
Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

3 commenti
Recensione di D. S.