Il suono della domenica – Zucchero Fornaciari

Personalmente, ho un rapporto un po’ strano con le biografie di cantanti, attori e compagnia. Rappresentano, per me, una sorta di piccolo piacere proibito, quella cosa che fa un po’ male e sappiamo che vale poco, ma che per voyeurismo o semplice e pura voglia non riusciamo a farci sfuggire. Come un menù di Mc Donald’s o le tavolette di cioccolato del discount, quelle con più burro che cacao e che fanno male ai denti già dal primo morso.

Il proibito, in questo caso, è dato prima di tutto dal fatto che – la maggior parte delle volte – le biografie di questi miti moderni siano banali, scontate, volutamente spettacolari, con poco di interessante da dire – dall’altro, niente di diverso da un abile capolavoro di taglia e cuci operato da qualche editor o ghost writer random che non si merita nemmeno l’onore della menzione in retro copertina.

La prima – autorizzata – biografia di Zucchero è l’eccezione che conferma la regola? Per certi versi sì, per altri no.

Non sarà di certo il libro che vi cambierà la vita, ammesso che ne esista davvero uno, né un romanzo imperdibile capace di svelarvi nuove prospettive sull’esistenza umana.

Però, si fa leggere. Ben scritto, piacevole, scorrevole, senza troppi punti morti né ripetizioni ossessive. Privo, perfino, di quell’aura da “sono un mito indiscusso” che permea molte biografie sin dalla prima riga.

Zucchero è, fondamentalmente, uno che si è dato davvero molto da fare per arrivare dove è ora. Niente è stato facile per lui e la Dea Bendata, se gli ha forse sorriso più che ad altri, non è mai stata la sua prima fan. Bambino prodigio nella musica, ingabbiato però in un mondo contadino e semplice che non era in grado di riconoscere questo suo precoce e straordinario talento – pur amandolo moltissimo, veniva considerato un po’ strano e perdigiorno perfino dai suoi stessi genitori. Ogni piccola cosa Zucchero ha dovuto guadagnarsela, dalla prima chitarra pagata consegnando la spesa alle case dei ricchi per tutta l’estate, passando per le prime prove con i gruppi che nascevano dall’oggi al domani in improbabili cascine di campagna e il conseguente ritorno in corriera nel mezzo della notte, fino al rispetto del pubblico e delle altre star della musica mondiale, che all’inizio lo guardavano storcendo il naso.

Tutto, in questo libro e nella sua vita, sa di sudore e fatica e rifiuti e desiderio tenace di farcela, più forte di tutto il resto. Attenzione, però: non c’è recriminazione, non c’è la sindrome della vittima incompresa da un mondo ostile. Quello raccontato da Zucchero è un mondo di lambrusco e pane e salame, dove se qualcuno ti dà fastidio lo si manda a quel paese senza pensarci troppo, dove ai pugni si risponde con calci e schiaffi. Un’autobiografia che non suscita empatia, solo divertimento e un filo di invidia per una vita che, senza dubbio, è stata straordinaria.

Sono stata una grande fan di Zucchero, quando ero piccola. Durante la mia preadolescenza ho letteralmente consumato il CD di SpiritoDiVino, fantasticando e cercando di leggere i significati nascosti dietro le parole e la musica, così suggestive ma allo stesso tempo così incomprensibili. Solo da adulta ho capito: Zucchero è stato un maestro nel cantare il desiderio, per qualcuno o per qualcosa, quella voglia bruciante che ti prende quando stai diventando grande e cominci a guardare gli altri e il mondo con occhi nuovi – e un po’ capisci cosa ti succede e un po’ no. Non c’era modo migliore di farlo, se non con quei giri di parole, quei doppi sensi, la poesia innocente che si mischia al torbido fino a diventare un colore solo – e su tutto, quella musica che ti fa risuonare qualcosa nel profondo.

Se volete sapere da dove arriva tutto questo, quali sono le cose che lo hanno ispirato nelle note e nelle parole, leggete questo libro.

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MaddalenaErre
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