Autore per me amatissimo e irrinunciabile, José Saramago (Azinhaga, 1922 – Tías, 2010), premio Nobel per la letteratura nel 1998, è un altro scrittore al quale non posso fare a meno di tornare: dopo che ne ho saccheggiato la bibliografia più nota, è scattata la sfida a reperire scritti meno famosi o tradotti nella nostra lingua solo di recente. Così ho scoperto Il racconto dell’isola sconosciuta (O conto da ilha desconhecida, 1998).
Un uomo chiede al re della sua terra una barca per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta. Egli è certo che questa terra esista, mentre tutti ne dubitano; solo una serva del re è disposta a seguirlo nell’impresa.
Il breve racconto, corredato di immagini (bellissime!) tratte da un atlante cinquecentesco, presenta alcuni tratti tipici delle fiabe: un eroe solitario alla ricerca di una meta giudicata impossibile dai più. D’altra parte però la narrazione si ferma all’antefatto: l’avventura del navigatore e della sua bella compagna non ci viene raccontata. Perché evidentemente ciò che conta è la scelta di affrontare il salto nell’ignoto, la caparbietà con cui l’uomo si è battuto per avere la sua nave e partire, vincendo le perplessità e l’ironia di chi lo circondava e le proprie stesse paure.
Quando i timori stanno per prendere il sopravvento, entra in gioco la compagna di viaggio. Come spesso accade nelle opere di Saramago il personaggio femminile, pur se non protagonista, è comunque centrale: la giovane e bella serva del re ha nel suo istinto e nella sua tenerezza una forza che, nel momento in cui l’eroe vacilla, è capace di donargli con un abbraccio. E così può avere inizio l’avventura, quel viaggio che allude, evidentemente, alla vita e ai traguardi che possiamo raggiungere se abbiamo il coraggio di tendere ad essi e se non siamo soli lungo il percorso.
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