Ho letto parecchi libri di Erri de Luca, e scrivere le recensioni diventa un’impresa sempre più difficile.
Questa volta non c’è una vera trama a reggere il filo, ma piuttosto una serie di tappe in stile via crucis, che ripercorrono la vita dell’autore, dai più radicati (e radicali), ricordi d’infanzia, all’età matura, quella in cui si sono collezionati abbastanza lustri per fare un bilancio di tutte le cose.
Così abbiamo il più e il meno, il bene e il male, il buono e il cattivo, il dare e l’avere.
De Luca ci parla di tempo che scorre, fissando nella memoria e sulla carta tutti quei momenti che hanno lasciato una traccia, cambiato il corso delle cose. Lo fa con la voce melanconica di un uomo abbastanza umano e intelligente da sapere quali sono le cose che vale la pena ricordare davvero.
Pregi e difetti: il grande pregio di questo libro, è il modo in cui ti fa apprezzare il tempo, rendendo incomprensibilmente nostalgico il rettore, nostalgico per un passato che non ha mai vissuto, come se leggendo, potessimo guardare al nostro futuro e sentire già un assaggio del vuoto che lasceranno le cose che perderemo.
Il difetto, se così si può chiamare, è il senso di inadeguatezza che ineluttabilmente si manifesta di fronte a questo autore, per la forza con cui si fa sentire il fatto che prima di essere un autore, Erri de Luca è stato un Uomo con più fame che fama, cosa che si può dire ormai di pochissimi tra suoi colleghi dei giorni nostri.
Nonostante io sia un’ amante del romanzo, trovo sempre tra le pagine di De Luca una fonte inesauribile d’ispirazione, commozione e umanità che lo rendono a volte anche più avvincente del migliore tra gli intrecci narrativi. Nel modo in cui descrive le cose più semplici e banali, non c’è mai niente di semplice e certamente mai niente di banale, in un mondo di scrittori che fanno l’ esatto contrario, ovvero cercare paroloni per sciorinare delle banalità, è una perla rara.
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