Il castello dei destini incrociati – Italo Calvino

Periodicamente torno anche, doverosamente, ai classici. E questa volta la scelta è caduta su Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 1923 – Siena, 1985) e in particolare sul Castello dei destini incrociati (1973).

Il libro si divide in due parti, la prima che porta come titolo Il castello dei destini incrociati (e fu pubblicata per la prima volta nel 1969) e la seconda che invece è intitolata La taverna dei destini incrociati. Uomini e donne alla tavola del castello e della taverna raccontano le proprie storie, ma non utilizzando la voce, giacché hanno perso la capacità di parlare, bensì collocando in successione le carte dei tarocchi. Un anonimo narratore interno interpreta per il lettore le sequenze dei tarocchi, dando corpo a vicende di personaggi di ogni tipo: cavalieri, principesse, alchimisti, ladri… alcuni a tutti ben noti come Orlando, il paladino di Carlo Magno protagonista di tante opere letterarie del medioevo e dell’età moderna (e tanto amato da Calvino, in particolare nella versione dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto).

La fantasia ricca ed originale dello scrittore incontra in questo caso la tradizione dei tarocchi, in particolare dei due mazzi da cui Calvino fu ispirato, come lui stesso spiega nella “Nota” finale (diventata poi “Presentazione” nell’edizione Oscar Mondadori). Dalle carte miniate da Bonifacio Bembo nel XV secolo (epoca peraltro non lontana da quella dell’Ariosto) e da quelle “popolari” stampate nel 1761 da Nicolas Conver l’autore ha tirato fuori tante storie d’amore, di guerra, di magia… lasciandosi guidare essenzialmente dalla propria ispirazione e fantasia.

Nella fase che si definisce “combinatoria” della sua produzione, Calvino scrisse numerose opere narrative studiando, adoperando e illustrando ai propri lettori i meccanismi che permettono di comporre una narrazione. Questo rende opere come il Castello (o Se una notte d’inverno etc.) estremamente interessanti proprio dal punto di vista della costruzione narrativa in cui sono inserite le storie. Al tempo stesso, alle riflessioni (esplicite o implicite) sulla scrittura si accompagnano sempre quelle sulla vita e sulla contemporaneità.

Il castello racconta tante storie, ma in effetti tutte filtrate dall’interpretazione che il narratore interno anonimo ne propone; e lui stesso ammette, in più di una occasione, delle incertezze. Le serie delle carte sul tavolo si mescolano, i significati delle singole figure mutano continuamente, qualunque tentativo di rimettere ordine fallisce. Così è la vita, vuole dirci Calvino: un intreccio complicato, un labirinto in cui uomini e donne si muovono inseguendo (ariostescamente) obiettivi labili e sfuggenti, poiché nulla di ciò che riguarda l’uomo ha consistenza certa.

Dunque, nella maniera della narrazione combinatoria, fantasmagorica, caleidoscopica, si esprime il sentimento di incertezza dell’epoca contemporanea, in cui l’uomo si è ritrovato solo con se stesso e con il nonsenso del vivere – un sentimento, a ben riflettere, che presenta delle analogie con gli umori dell’epoca dell’Ariosto. Tutto ciò espresso con leggerezza fiabesca, anch’essa tutta calviniana e anch’essa di ispirazione ariostesca, che non è assolutamente mai superficialità.

Non si può non restare incantati, perfino storditi, dalle mille storie del Castello e della Taverna, figlie della ben nota e vivacissima fantasia di Calvino e narrate in una lingua come sempre nitida e precisa. Tuttavia Calvino è un autore che o si ama svisceratamente oppure non riesce ad entrare nelle corde: non esistono soluzioni intermedie. Ad alcuni lettori, come per esempio a chi sta scrivendo questa recensione, la sua scrittura suona per lo più cerebrale, poco appassionata e coinvolgente dal punto di vista emotivo, dunque non congeniale; e quest’opera non fa eccezione. Ma naturalmente non è un giudizio di valore.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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