Il ballo – Irène Némirovsky

Di ricchissima famiglia ebrea, Irène Némirovsky (Kiev, 1903 – Auschwitz, 1942) abbandonò la patria Kiev, insieme alla propria famiglia, al tempo della rivoluzione russa e visse in Francia, dove, in francese, scrisse le sue opere. Nonostante il rifiuto delle sue radici ebraiche e la conversione al cattolicesimo, nel 1942 Irène fu strappata alle sue figlie, alla sua casa, ai suoi libri e deportata ad Auschwitz, dove morì. Il ballo (Le bal) è un suo breve racconto, celeberrimo, scritto nel 1928 e pubblicato nel 1930 e che già l’anno dopo divenne anche un film.

Antoinette è una ragazzina ebrea di 14 anni che vive con i genitori e la giovane istitutrice inglese in una grande e lussuosa casa parigina. La famiglia si è arricchita grazie a spregiudicati e fortunati investimenti in borsa e i genitori di Antoinette cercano in ogni modo di cancellare le loro origini modeste facendo sfoggio di ricchezza e raffinatezza. Per conquistare il loro spazio a pieno titolo nell’alta società parigina, decidono quindi di organizzare un sontuoso ballo, a cui invitare le persone più in vista della città. Antoinette, trascurata e continuamente rimproverata dalla madre se la sua educazione non rispetta i canoni desiderati, fa fallire miseramente la tanto attesa occasione mondana.

Nella sua brevità il racconto riesce a rappresentare in maniera molto efficace, e a tutto tondo, i personaggi, in particolar modo quelli femminili: l’istitutrice Betty, giovane e svagata; Antoinette, con le sue curiosità e i suoi desideri di adolescente e la sua spietatezza; la madre Rosine, superficiale, frustrata e acida.

La narrazione delinea inoltre, con pochi tratti, l’essenza di un intero mondo: una famiglia ebrea avida e arida, un bel mondo scintillante e corrotto. E in questo universo degradato si muove la protagonista, che pur giovanissima ha già imparato la crudeltà e il cinismo, tanto che l’ultima scena del racconto mette davvero i brividi.il-ballo-di-irene-nemirovsky-L-SX10kM

La riscoperta della Némirovsky è fatto recente, nonostante non meritasse di essere dimenticata: né per le sue vicende di vita né per la sua arte. La scrittrice concepì ostilità nei confronti delle sue origini ebraiche e visse anche con estremo disagio il suo essere donna, giacché vedeva prevalere nell’universo femminile frivolezza e arrivismo: di qui scaturì la sua ispirazione letteraria, già pienamente compiuta in questo racconto e successivamente ulteriormente definita e maturata, comunque sempre in qualche modo autobiografica, di quell’autobiografia dell’anima che a saperla leggere svela ogni cosa. E la sua scrittura riflette appieno la sua concezione della realtà: limpida e ficcante, crudele perfino nella sua essenzialità.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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