Ghiaccio-nove – Kurt Vonnegut

Ho scoperto lo scrittore statunitense Kurt Vonnegut (Indianapolis, 1922 – New York, 2007) lo scorso inverno, quando ho letto il suo romanzo Piano meccanico; e siccome periodicamente amo tornare alla letteratura distopica (e magari approfondire la conoscenza di uno scrittore che ho frequentato poco ma mi ha incuriosita), dall’antologia di romanzi che ho acquistato a suo tempo questa volta ho scelto Ghiaccio-nove (Cat’s cradle, 1963).

Il protagonista John/Jonah narra in prima persona ciò che gli è accaduto sull’isola caraibica di San Lorenzo, dove ha avuto modo di incontrare i fratelli Hoenikker, figli del creatore della bomba atomica, con cui era già entrato in contatto per un libro che aveva intenzione di scrivere. Sull’isola, retta da una sorta di dittatore chiamato “Papà” Monzano, gli eventi prendono una piega tragica a causa del cosiddetto ghiaccio-nove, un ritrovato della scienza più moderna. Ad accompagnare il racconto le massime del santone Bokonon, che vive e opera sulla stessa isola.

Il ghiaccio-nove, capace di far cristallizzare l’acqua in una forma diversa da quella del ghiaccio a tutti noto, è una creazione del defunto dottor Hoenikker, uno scienziato interamente assorbito dai suoi studi e animato da una fiducia incondizionata nella scienza. Tuttavia, nella visione pessimistica di Vonnegut, l’uomo si rivela incapace di gestire in maniera responsabile e costruttiva i prodotti della scienza (il riferimento all’invenzione della bomba atomica è chiaramente emblematico, , dopo Hiroshima e al tempo della crisi missilistica di Cuba) e gli effetti sono devastanti.

Dall’altro lato la fede religiosa si rivela un inganno atroce, un instrumentum regni utilizzato spregiudicatamente a San Lorenzo (nella forma del bokonianesimo) per offrire un senso e uno scopo a una popolazione tenuta nella miseria e nell’ignoranza più vergognose. Anche la religione è presentata, da Vonnegut, come una creazione umana; e come tutte le creazioni umane, aberrante e distruttiva.

Una certa ironia (come in Piano meccanico) attraversa il libro, ma è naturalmente un’ironia amara, che guarda senza speranza e senza pietà alla condizione dell’uomo, destinato all’autoannientamento. Lo stile di scrittura, lento e dettagliato (anche questo tratto accomuna all’altro romanzo), non giova sempre alla narrazione, tuttavia il libro propone evidentemente temi ancora attuali e scabrosi: più di cinquanta anni dopo la sua pubblicazione, anzi, il conflitto tra scienza e coscienza non solo non è risolto ma si è addirittura aggravato: basti pensare a questioni come la clonazione. Le domande che si pongono, anche all’uomo della strada, sono sempre più urgenti e non possono e non devono essere eluse, per quanto difficile possa essere affrontarle. La posta in gioco è altissima, e Vonnegut lo sapeva molti decenni fa.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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