“Io ho amore, compassione, bontà, altruismo… e tutto a prezzi ragionevoli”
La vita carceraria offre da sempre innumerevoli spunti di riflessione e infinite sfaccettature ironiche.
Arkas, con il suo piccolo e buffo alter ego, Montecristo (una sorta di incrocio tra castoro e pantegana), coglie gli aspetti più stridenti della prigione e ne esalta i connotati umoristici.
Non sempre le battute arrivano a far ridere, più spesso le labbra si increspano in un sorriso amaro, ma è proprio questo che rende Montecristo speciale.
Attraverso i personaggi – arrotondati, molto somiglianti tra loro, la quintessenza della stereotipizzazione (abbiamo l’ergastolano, il condannato a morte, il boia, il prete, il cuoco, la guardia giurata e tanti altri) – l’autore fissa dei momenti di comicità che spaziano dal pecoreccio al riflessivo.
L’unico che stona è, appunto, Montecristo – sgraziato fisicamente quanto lo è con le parole – creatura ibrida che non ha nessun motivo per restarsene in cella se non per i soldi che può estorcere ai prigionieri.
Una sequela di strisce divertenti, corrosive, tragiche e romantiche.
“Uno…due…tre…”
“Che fai ora?”
“Conto le tue costole per addormentarmi!”