Questa opera rappresenta forse l’esempio più radioso e totale di maturità del disegno e della narrazione espressiva, nel panorama delle arti.
Il fumetto- ancora oggi visto come branca minore, sfigata e da disadattati, roba per bambini e immaturi – trova piena espressione, potenza, ragion d’essere, nel raccontare la vita.
La sfida personale e quasi impossibile in cui si cimenta Art Spiegelman è quella di raccontare l’Olocausto, dal punto di vista di un sopravvissuto quale il padre, Vladek, mettendo nero su bianco, stavolta in forma di arte grafica più che parole, l’assoluta follia dell’antisemitismo.
Facendo scelte funzionali e squisitamente narrative, Spiegelman spezza l’altrimenti insostenibile racconto dell’Olocausto con schermaglie famigliari che hanno del paradossale.
L’autore riesce a dosare l’accumulo di orrore che inevitabilmente va montando durante la narrazione e anche nelle vignette più dolorose non veniamo mai travolti dal rappresentato.
Questo piccolo miracolo lo dobbiamo alla spersonalizzazione salvifica rappresentata dalla scelta autoriale di disegnare gli ebrei come topi e i nazisti come gatti (e via altri animali di contorno).
La più grande metafora mai disegnata riesce a filtrare il dramma storico così come la tenerezza, l’amore, la tenacia, la caparbietà e la fortuna di una famiglia ebrea riescono a rappresentare una cruda realtà.
Personalmente sarò sempre grato a Spiegelman per la sua opera. Non sarà stato facile per lui tirare fuori queste tavole che sembrano tanto naturali e “semplici” quanto grondanti di intimità e di vita.
Un vero capolavoro, dovrebbe essere letto da chiunque abbia almeno 15 anni, secondo me. :)
Sacrosante parole! Un fumetto fondamentale e nobilissimo da tenere tra i classici della letterarura.