Nel 1853 lo scrittore americano Herman Melville (New York, 1819-1891), celebre autore dell’altrettanto celebre romanzo Moby Dick, pubblicava un breve racconto destinato a lasciare il segno, almeno su intellettuali pensosi e raffinati come Borges o Calvino: Bartleby lo scrivano (Bartleby the Scrivener – A Story of Wall Street).
Un anziano avvocato titolare di uno studio su Wall Street deve assumere un altro scrivano, oltre quelli che già lavorano per lui. Il nuovo copista, Bartleby, si rivela subito un personaggio bizzarro e misterioso: schivo e taciturno, compie con grande solerzia il suo lavoro di ricopiatura rifiutando però di svolgere qualunque altro incarico gli venga affidato: «Avrei preferenza di no» è la sua laconica giustificazione. Nonostante susciti stupore e stizza, lo scrivano esercita però anche una sorta di suggestione, di soggezione perfino, sul suo datore di lavoro, che non ha il coraggio di licenziarlo neppure quando Bartleby interrompe anche il lavoro di copista, pretendendo però di restare presso lo studio. La situazione infine precipita fino ad un triste epilogo.
Bartleby lo scrivano è un racconto originalissimo, che mette in scena personaggi che oggi definiremmo nevrotici. Un sottile umorismo attraversa la narrazione, mostrandoci i tic dei diversi personaggi; ma ad esso si accompagna una nota malinconica.
Non è facile interpretare la figura di Bartleby, che infatti ha suggerito diverse letture critiche, da quelle autobiografiche a quelle cristologiche a tante altre più o meno condivisibili (la gran parte delle interpretazioni proposte è riportata e commentata in appendice all’edizione Feltrinelli a cura di G. Celati). Da un lato Bartleby potrebbe essere definito un fiero “resistente”, che non rinuncia a ritagliarsi i suoi spazi (come quando resta immobile a fissare il muro oltre la finestra, meditando su chissà cosa) e che rifiuta di compiere gli incarichi che per qualche motivo non lo fanno sentire a suo agio; e in effetti il racconto ci lascia di lui un ritratto che sottolinea la sua pacatezza, ma anche la sua fermezza e la sua dignità. Dall’altro lato, però, un’informazione su Bartleby che viene rivelata nelle ultime pagine, se confermata (la scelta stilistica del narratore interno, evidentemente non casuale, lascia nell’incertezza), demolirebbe l’interpretazione precedente, facendo dello scrivano piuttosto l’emblema di uno strisciante male di vivere che non dà scampo.
Di certo Melville ha saputo creare una figura affascinante e sconcertante nella sua ambiguità, un personaggio che non può non restare impresso col suo mistero e la sua ostinazione orgogliosa e distruttiva insieme.
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