Non sempre il racconto breve è congeniale a Manuel Vásquez Montalbán (Barcellona, 1939 – Bangkok, 2003): per mostrare al meglio le sue straordinarie doti di narratore, di sceneggiatore di trame “gialle”, di descrittore di caratteri e di ambienti, di critico impietoso della contemporaneità, lo scrittore spagnolo adoperava spesso meglio la struttura più ampia e complessa del romanzo. Tuttavia i quattro racconti pubblicati sotto il titolo Assassinio a Prado del Rey e altre storie sordide (Asesinato en Prado del Rey y otras historias sórdidas, 1987) si leggono comunque con piacere ed offrono interessanti spunti di riflessione.
Come nella raccolta Storie di fantasmi, è l’autore stesso, nella breve introduzione, a spiegare il filo rosso che collega le quattro narrazioni: è la sordidezza, che non sempre è, semplicemente e banalmente, sinonimo di spregevolezza e ignobilità; perché dal baratro in cui si precipita non sempre è possibile riemergere. L’investigatore Pepe Carvalho si trova dunque ad indagare su delitti sordidi nel senso più vario del termine: quello di un regista televisivo, quello di una cliente di un locale alla moda, quello di una cubista e quello di tre persone (più un cane) legate da un filo non immediatamente visibile.
Pepe Carvalho si muove tra la sua Barcellona e Madrid attraversando una corruzione ormai endemica e probabilmente non redimibile: è sempre l’investigatore cinico, disincantato e sarcastico che ben conoscono i lettori di Manuel Vásquez Montalbán, ma rivela come sempre anche un fondo dolente, una sensibilità per i reietti che la vita e la storia non hanno potuto soffocare.