Antonio Manzini -Rocco Schiavone volume I

La prestigiosa casa editrice “Sellerio editore, Palermo” ha pubblicato, nella altrettanto prestigiosa collana “la Galleria”, un intero volume dedicato a Rocco Schiavone: i primi tre romanzi della serie nata dalla penna di Antonio Manzini.

Con l’occasione, ripropongo le mie recensioni dei tre romanzi e ciò che penso del personaggio e dello scrittore.

Il personaggio di Rocco è davvero geniale; un grande, nel male e nel bene; credo sia l’uomo di cui la giustizia italiana avrebbe bisogno. È vero, non usa dei metodi molto ortodossi e frequenta gente non tanto raccomandabile, ma raggiunge il risultato, senza seguire pedissequamente le regole e la burocrazia. E quanto basta.  Per questo, ma non solo, è così tanto apprezzato.

Pista nera è la prima indagine del vice questore in Valle d’ Aosta.

Un imprenditore di origini siciliane, Leone Miccichè, viene ucciso sulle piste da sci a Champoluc, ed è arduo per Rocco dover indagare con il Loden e le Clarks, il gelo, gli sciatori, che sembrano “peccatori in un girone dell’inferno”. Leone lascia una moglie bellissima, che sembra un’attrice del cinema, molto corteggiata. L’indagine di Rocco si ramifica fra la pista passionale e la pista del regolamento di conti. All’interno di questa indagine si svolge un episodio parallelo, secondo me apocalittico e geniale.

Antonio Manzini io lo conoscevo molto prima di Rocco Schiavone, nei racconti scritti a quattro mani con Niccolò Ammaniti, e molto prima (quando ancora non c’era la serie televisiva) già dal racconto “L’accattone” in “Capodanno in giallo”, e dalle altre raccolte a tema, edite sempre da Sellerio editore. Diretto e umano, proprio come il suo personaggio, sa tenere il lettore incollato alle pagine. E che dire di Rocco? Ironico, sarcastico, donnaiolo, ma dolce, sì anche dolce, quando dialoga con Marina, e commovente, quando parla degli animali, dei cani, in particolare. Infatti, oltre che molta azione, ci sono anche dei dialoghi interessantissimi, dai quali emerge il disagio di Rocco lontano dalla sua Roma, lo sdegno verso la natura umana e per le ingiustizie, e ci sono descrizioni dei paesaggi che fanno venire voglia di visitare o di tornare  in quei luoghi.

La costola di Adamo. Seconda indagine del vice questore. Questa volta non si trova sulle piste da sci ma in città; l’arrivo della primavera addolcisce la sua permanenza, anche se qualche spruzzatina di neve non viene a mancare. La nostalgia per Roma c’è sempre, e Rocco troverà occasione per un tocca e fuga nella capitale, per regolare una vecchia questione. Si tratta di una vicenda parallela rispetto all’indagine principale: il suicidio di Ester Baudo.

Ester era la moglie di Patrizio, e sembravano la coppia perfetta.

Sembravano.

Ad aiutare Rocco nelle indagini è un’amica di Ester, Adalgisa, una libraia con un sogno nel cassetto: quello di scrivere. Anche Ester voleva scrivere. Fin qui niente di strano. Ci sono tuttavia delle altre incognite. Cosa si cela dietro alle coppie apparentemente perfette? Cosa può celarsi dietro un apparente suicidio? E dietro alle persone tranquille? Può celarsi qualcosa che a me ha toccato molto.

Questo romanzo è diverso dal precedente, ha un taglio più psicologico. C’è azione sì, non mancano dei momenti divertenti nei rapporti fra Rocco e i suoi collaboratori, ma c’è anche tanta riflessione, sulla figura centrale del romanzo, quella femminile.

Non è stagione

“Non è stagione” perché? Perché ad Aosta nevica a maggio, mentre una ragazza, figlia di ricchi imprenditori, viene rapita. Rocco lotta con tutto se stesso per salvare la ragazza, con l’aiuto della sua fedele squadra, compresi D’Intino e Deruta, che fanno sempre morire dal ridere. Nella risoluzione di questo caso il vice questore scopre una melma di infiltrazioni di criminalità organizzata, proprio dove uno meno se lo immaginerebbe.

Credo che “Non è stagione” sia il più riuscito della serie di Rocco Schiavone. Per il modo in cui l’autore ci tiene con il naso incollato al libro; per come dosa ironia, cinismo, romanità, malinconia e anche un pizzico di speranza; per come tratteggia il dramma umano di Rocco e allo stesso tempo ci regala dei momenti comici degni della migliore commedia all’italiana. Per la goduria nel leggere; per come ci lascia col fiato sospeso fino alla fine della vicenda del rapimento, ma anche delle storie parallele. Infine, per la sua capacità di arrivare a tutti, perché un libro deve poter avere più chiavi di lettura ed essere letto su più livelli.

Antonio Manzini, attore diplomato alla Scuola d’Arte drammatica Silvio D’Amico di Roma, allievo del Maestro Andrea Camilleri, sceneggiatore (fra le altre ha curato la sceneggiatura di “Come Dio comanda” tratta dal romanzo omonimo “premio Strega” di Niccolò Ammaniti, oltre che la mitica serie di rai due “Rocco Schiavone”); è anche autore dei romanzi “Sangue Marcio” (Fazi 2005) e “La giostra dei criceti” (Einaudi 2007, Sellerio 2017), del romanzo “Orfani bianchi” (Chiarelettere 2016), la storia di una donna moldava, una delle tante donne che lasciano nella loro terra d’origine la loro famiglia, per curare le nostre famiglie, per accompagnare i nostri parenti nell’ultimo tratto del viaggio della vita, mentre noi siamo in altro affaccendati. Delle vere “chicche” sono il romanzo “Sull’orlo del precipizio” (Sellerio 2015) e la raccolta di racconti “Ogni riferimento è puramente casuale” (Sellerio 2019), che ironizzano sul mondo dell’editoria.

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Recensione di
Miriam Caputo

Sono una divoratrice di libri, che ama la scrittura. Mi piace raccontare le storie che ho letto, ma anche inventarne di nuove e creare personaggi. Mi rispecchio in questa frase:
"Io voglio essere la trapezista, che fa il triplo salto mortale con il sorriso, la leggerezza, e non fa vedere la fatica dell'allenamento, perché altrimenti rovinerebbe il tuo godimento di lettore. Io voglio essere la trapezista e nulla voglio trasmettere della fatica del mio scrivere"
(Andrea Camilleri).

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