Come le mosche d’autunno – Irène Némirovsky

Irène Némirovsky (Kiev, 1903 – Auschwitz, 1942) lasciò la patria, insieme alla famiglia, al tempo della rivoluzione russa e si trasferì in Francia. Nonostante il rifiuto delle sue radici ebraiche e la conversione al cattolicesimo, nel 1942 fu deportata ad Auschwitz, dove morì. Le sue opere, tutte scritte in un ottimo francese, esprimono spesso il rimpianto per una terra e per un mondo che Irène amava e che non esistevano più: così avviene, ad esempio, in Come le mosche d’autunno (Les mouches d’automne), suo breve romanzo pubblicato nel 1931.

Tat’jana Ivanovna è stata la balia di due generazioni di Karin nella Russia tra Ottocento e Novecento. Il suo amore e la sua devozione verso i padroni sono incrollabili e la donna è ricambiata con un certo affetto e rispetto. La prima guerra mondiale e soprattutto la rivoluzione russa sconvolgono le vite di Tat’jana e dei Karin, che fuggono in Francia. La nuova vita è modesta e tormentata dai ricordi e dai rimpianti della vecchia balia e dei vecchi Karin, mentre i giovani, non senza difficoltà, cercano di crearsi una nuova vita.

La figura dominante nel racconto è certamente quella di Tat’jana: attraverso i suoi occhi conosciamo il passato e il presente dei Karin, lo splendore di un tempo e la decadenza recente. Ed è lei, più di tutti gli altri personaggi, a rimanere legata a un’epoca trascorsa e ormai irrimediabilmente conclusa, fatta di case sfarzose, feste eleganti e abiti sontuosi. A lei, che pure è una serva che il lusso lo ha conosciuto solo indirettamente, la rivoluzione russa sembra solo una barbarie distruttiva, che le ha portato via tutto ciò che più amava.0bd65aba7518fb1d9032feb633583b7c_w190_h_mw_mh

Evidentemente la giovane autrice fece della vecchia inconsolabile Tat’jana la portavoce dei propri sentimenti. I Némirovsky, non molto diversamente dai Karin, avevano abbandonato la patria e si erano trasferiti a Parigi, anche se non soffrirono mai la povertà come invece la famiglia del romanzo: nonostante però l’agiatezza economica e l’amore per la Francia, Irène conservò la ferita di un distacco che lei sentì sempre come un esilio, al punto che, quando nel 1942 un gendarme francese le propose di fuggire per evitare la deportazione, rifiutò perché non voleva «esiliarsi due volte». La ricca scrittrice attribuì inoltre all’umile personaggio popolano il proprio rifiuto sdegnato della rivoluzione bolscevica che le aveva cambiato per sempre la vita.

La scrittura della Némirovsky si conferma anche in questo romanzo limpida e precisa, essenziale, intensa senza cedere all’enfasi. È una scrittura per molti versi tradizionale, senza ambizione di sperimentare tecniche e linguaggi d’avanguardia: una scrittura legata al passato, ma bella e sofferta – come la scrittrice.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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