Tutti i nomi – José Saramago

Quando ho terminato la lettura di Tutti i nomi (Todos os nomes), il romanzo di José Saramago (Azinhaga, 1922 – Tías, 2010) pubblicato nel 1997, sono rimasta inizialmente interdetta. La storia, come quasi sempre nel caso di Saramago, mi ha conquistata, con il suo bizzarro e malinconico protagonista e le sue atmosfere kafkiane. Quello che però rischia di sfuggire è il significato complessivo di una narrazione dai fortissimi connotati simbolici.

Il signor José, protagonista e unico personaggio ad essere designato col nome proprio, è impiegato presso l’Anagrafe di una cittadina portoghese come scritturale ausiliario, ultimo gradino di una rigidissima gerarchia. In un ufficio dove il tempo sembra essersi fermato, tanto che gli impiegati lavorano ancora con carta, pennino e calamaio, il signor José svolge impeccabilmente il proprio compito. Nel tempo libero, invece, si dedica alla raccolta e alla catalogazione di notizie sugli abitanti della città diventati famosi. Un giorno però, per un puro caso, gli capita tra le mani la scheda dell’anagrafe di una donna che famosa assolutamente non è, ma che per il protagonista diventa una vera ossessione: trovarla (cercarla, più ancora che trovarla) diventa l’unico suo scopo e il signor José, per realizzarlo, è disposto anche ad infrangere regole e leggi che ha sempre scrupolosamente rispettato.

Anche in questo romanzo Saramago non rinuncia alle sue stoccate critiche, che questa volta colpiscono in particolare il settore impiegatizio e il mondo della scuola, ma i passaggi polemici qui restano decisamente più marginali rispetto ad altre opere dello scrittore.  La storia si svolge nell’arco di alcune settimane ed è narrata con un ritmo piuttosto lento: questo crea un clima di forte attesa intorno alla ricerca condotta dal signor José, sui cui gesti e parole, pensieri e dubbi lo scrittore si sofferma a lungo. Il lettore viene così coinvolto nella spasmodica ricerca e naturalmente la domanda che lo assilla pagina dopo pagina è se il signor José riuscirà a rintracciare la donna sconosciuta. A chi legge questa recensione, e si sta ponendo la stessa domanda, si può rispondere di sì e di no al tempo stesso.

Ma il punto non è la donna sconosciuta. Essa è un pretesto, di più: è un emblema, come la vita e la morte di cui si parla continuamente in questo romanzo ambientato tra l’Anagrafe e il Cimitero. Il signor José è un mite scapolo cinquantenne, dalla vita modesta e umile, tendente per sua stessa ammissione alla malinconia: la donna sconosciuta diventa il senso, lo scopo: qualcosa che è capace di restituire mordente, passione, se non entusiasmo, alla vita, un’occasione anche per uscire dal guscio di un’esistenza solitaria, instaurare dei rapporti umani e scoprire simpatie e solidarietà a volte del tutto inattese. È per questo che, in un romanzo che si intitola Tutti i nomi, solo il signor José è chiamato per nome: nonostante la registrazione all’anagrafe quando nasciamo, noi restiamo in realtà “anonimi”, senza identità, finché quel nome non lo riempiamo di vita, di significato.

La chiusa del romanzo sembra dunque suggerire che il senso della vita sia appunto una caparbia costruzione della nostra mente e del nostro desiderio, l’obiettivo creato dalla sua stessa esigenza. Ed è una morale che mi sento di abbracciare in pieno, con la stessa pietà e lo stesso sorriso che lo scrittore ci regala con le pagine di questo romanzo: solo questo riesce a far sì che ciò che è finito non sia finito e che la vita sia viva davvero.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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