La prima cosa da dire su questo libro é che ci troviamo davanti a un caso editoriale del novecento. Ho dovuto ricordarlo spesso a me stessa per arrivare in fondo alla lettura.
A suo tempo infatti, il Tropico del Capricorno fece scalpore, e dopo averlo letto non mi riesce difficile capirne il motivo.
Più che un vero e proprio romanzo, questo è un manifesto personale, il risultato che si ottiene quando un autore fuori dall’ordinario come Henry Miller, un uomo saturo di idee, bombardato di pensieri, sente il desiderio o, più probabilmente, il bisogno di mettere nero su bianco il caos primordiale che si ritrova in testa.
Il risultato é sconcertante e vagamente irritante, almeno per me, essendo una di quelle persone a cui “Non piace chiamare le cose con il loro nome”, in ogni caso se devo, cerco di farlo con un pò più di grazia.
Racconti dell’infanzia, ricordi remoti e dismorfici, aneddoti del presente e del passato si alternano a deliranti flussi di coscienza in cui la materia vivente e inerte viene descritta con una brutalità disarmante, che lentamente rivela l’uomo dietro queste pagine; uno di quei vecchi personaggi di inizio novecento, sessista, insoddisfatto, ricolmo del suo vaccum, e irrimediabilmente oppresso dalla meccanicitá Newyorkese che emerge dalla descrizione reificata come un quadro di Boccioni.
Nel complesso, se dovessi trovare una parola per condensare questo libro sarebbe “troppo”.
Troppo crudo, troppe parole, troppi sinonimi, troppo turpiloquio, troppo sesso, troppe immagini difficili da afferrare, che hanno come unico pregio quello di agire come un “suscita pensieri”. Tante sono infatti le riflessioni personali che spontaneamente germinano durante la lettura, poiché la mente del lettore é inevitabilmente soggetta a un eccesso di percezioni, più o meno gradevoli, centrando in pieno l’ evidente intenzione provocatoria del Signor Miller.
Sicuramente un’ utile, ed unica esperienza di lettura, che però onestamente, spero di non dover ripetere nell’ immediato futuro; il mondo è un posto migliore di come viene raccontato qui e questo è un concetto che ai nostri tempi, così come ai suoi, conviene tenersi stretto.
Tropico del Cancro non è molto diverso.
Io ho letto Tropico del Cancro l’estate scorsa e ho avuto la stessa sensazione di vago fastidio. L’autore non è una persona con cui si può entrare in empatia, ha un carattere e racconta in sostanza la sua pretesa di fare quella che vuole vivendo in sostanza a scrocco di amici, donne, colleghi e alla fine di chiunque passi e sia disposto ad aprire il portafogli. E penso che soprattutto per una donna sia molto fastidioso, come uomo, come umano e come misogino potente. Almeno, io l’ho detestato senza remore per tutto il libro, che ho finito perché mi dava più fastidio abbandonarlo, mi sembrava che vincesse lui e la cosa mi faceva girare le scatole. L’idea era di leggere Cancro e Capricorno in fila, ma grazie ma no grazie.