Tenera è la notte è l’ultimo romanzo di Fitzgerald, il più complesso e rimaneggiato, tanto che gli ci sono voluti ben nove anni per arrivare alla versione finale, divisa in tre libri, e anche allora dubito che fosse soddisfatto. Proprio a causa di questo lungo lavoro di revisione, nel corso della lettura si passa attraverso punti di vista diversi, stili di narrazione e toni diversi, tanto che sembra di leggere un altro libro, ma sorprendentemente la transizione tra queste fasi é impercettibile.
La prima parte si apre su uno scenario lirico: un’estate europea nella metà degli anni venti. Insomma, un’epoca che si presta bene alla descrizione della vita parigina, o alla fragranza di macchia mediterranea della Còte d’Azur, e si presta anche meglio alla creazione di personaggi meravigliosi, così affascinanti e poliedrici e come quelli che incontriamo qui, e che sono fortemente impregnati di elementi autobiografici. Leggere Fitzgerald è bello, esteticamente bello intendo. Anche se a prima vista potrebbe sembrare un concetto sinestetico, basta leggere qualche capitolo per rendersi conto di come tutto quello che viene descritto non sia solo inchiostro su una pagina, ma anche visibile e godibile come un bel film di Billy Wilder, con musiche di Tony Bennet in sottofondo, e costumi di Chanel. Se questo è vero per il primo libro, i toni diventano successivamente più gravi e in un certo senso annoiati, il linea con il deprimente destino dei protagonisti.
Dick Diver, psichiatra americano trapiantato in continente, la moglie- paziente Nicole, e Rosemary, promessa di Hollywood, costituiscono il triangolo iniziale di una lunga vicenda, che attraversando un periodo di circa cinque anni, segue l’evoluzione – o meglio l’involuzione- dei personaggi. Il percorso di Dick in particolare, lo vede inizialmente come un uomo brillante e magnetico, soprattutto perché raccontato attraverso gli occhi della giovane e innamorata Rosemary, ma decade poco a poco, in un processo autodistruttivo innescato forse dalla noia, forse dai troppi soldi unitamente ai pochi stimoli, anche se non credo che ci sia una ragione in particolare. Il tempo passa, l’estate passa così come l’amore e le aspettative deluse portano con loro un’ angoscia che si traduce nella voglia di impartire il colpo di grazia a quel poco che resta, come se nell’impossibilità di raggiungere la perfezione, l’unica alternativa possibile fosse la completa decadenza.
Ciliegina sulla torta, la prefazione di Fernanda Pivano, che introducendo un parallelo tra le figure fittizie e quelle reali regala un’ ulteriore texture ai protagonisti di questa commovente storia.
effettivamente mentre leggo questa recensione mi viene in mente un film retro, in stile Midnight in Paris o (naturalmente) il Grande Gatsby nella versione più moderna. E’ davvero così evocativo, lo stile di scrittura del romanzo? mi piacerebbe!