Su il sipario! #2 – La figlia di Iorio – Gabriele D’Annunzio

Una cosa è certa per quanto riguarda Gabriele D’Annunzio: o lo si ama o lo si odia. Io, decisamente, propendo per la prima opzione. Mal digerito al liceo, me ne sono invece innamorata durante gli anni passati dell’università, dove ho avuto la fortuna di poter frequentare il corso di Roberto Alonge, uno dei più grandi conoscitori del teatro dannunziano. La figlia di Iorio non è solo una delle mie opere teatrali preferite: è proprio uno dei miei libri favoriti, tra la rosa dei dieci libri che ho portato a Londra quando mi ci sono trasferita e dovevo stare attenta al peso del bagaglio al milligrammo.

La figlia di Iorio è una favola nera e crudele, impregnata di quel mito arcaico e animale che tanto era caro a D’Annunzio. Il testo che leggiamo non è che una pallida fotocopia dei significati nascosti in ogni frase e paragrafo: si tratta infatti di un’opera quasi totalmente simbolica, dove la superstizione si fonde con le reali paure ataviche del genere umano – paura del diverso, paura che qualcuno ci porti via quello che abbiamo faticosamente guadagnato, paura di cosa potrebbe succederci qualora decidessimo di lasciare l’ordine costituito del branco. Questo libro è impressionante perché contiene tutto e il contrario di tutto, è una metafora della vita a 360 gradi.

D’Annunzio ci racconta la storia di Aligi – che “ha dormito per più di settecent’anni” – pallido, gracile, succube della madre e delle sorelle; di Mila di Iorio, una donna sola e disperata che diventa suo malgrado il capro espiatorio di un’intera comunità, con il marchio della diversità impresso nella carne, una persona libera e autonoma – e questo, in una società più soffocante del caldo agostano che scatena l’ira dei mietitori – è una colpa da lavare col sangue.

I mietitori, fomentati e infoiati dal caldo e dal vino, rincorrono Mila per stuprarla: del resto è una prostituta, deve esserci abituata, non sarebbe una cosa grave – di certo non come aggredire la legittima moglie di un vicino o di un amico. Mila viene accolta in casa di Aligi, ma la sua salvezza è solo apparente: in realtà Candia della Leonessa, la madre del ragazzo, ha già in mente un piano nel quale la povera Mila sarà solo una pedina inerme. La storia prosegue, in un crescendo di orrore e vertigine, aumentato dalla piacevole verbosità e dal ritmo quasi musicale – come un battere di tamburi tribali – della scrittura dannunziana – fino al tragico epilogo, già scritto sin dalle primissime righe.

D’Annunzio è stato spesso accusato di misoginia: non metto di certo in discussione questo assunto, formulato da persone che decisamente conoscono la sua opera più di me, ma personalmente trovo che La figlia di Iorio sia una delle opere più femministe e moderne che siano mai state scritte. A prima vista sembra che i mostri della situazione siano gli uomini: Lazzaro di Roio, violento e triviale, i mietitori impazziti – e lo stesso Aligi, che risulta crudele e sgradevole nella sua inettitudine. Lo sono, in buona parte: non conoscono il rispetto e pensano di potersi prendere con la forza o con ricatti psicologici – il caso di Aligi – tutto quello che desiderano.

Basta però leggere tra le righe e si capisce che il vero deus ex machina della situazione sono le donne: è Candia della Leonessa a ordire le trame dell’inganno che porterà Mila alla morte, aiutata dalle sue figlie e sorelle di Aligi; sono le donne del popolo che gridano a gran voce “che le sia strappato, che le sia mangiato il cuore, che la calpesti, alla catasta la strega!” quando alla fine Mila viene portata al rogo dove, con la sua morte espiatoria, verranno mondati anche i peccati dell’intera corrotta comunità.

Non credo proprio che l’intenzione di D’Annunzio fosse quella di costruire una storia femminista, ma il risultato è questo: le donne sanno essere le peggiori nemiche di se stesse, sia ieri come oggi. Ogni giorno sulle riviste femminili ci sono articoli di donne che si sono viste mettere in difficoltà sul lavoro, sulla maternità, nella vita da altre donne – invece di fare gruppo, ci si rema contro.  Non biasimo noi donne: per troppo tempo siamo state messe in un angolo, oppresse sotto ogni punto di vista – siamo arrivate a credere che la lotta quotidiana, anche tra noi stesse, sia l’unico modo per andare avanti. Sono rimasta sconvolta nel leggere sui quotidiani di quante donne, parlando di uno stupro subìto da una ragazzina a opera di un branco di coetanei, hanno detto che la ragazza “se l’è cercata perché era una poco di buono”. Cose come queste fanno attorcigliare lo stomaco e accapponare la pelle, ma succedono in continuazione.

La figlia di Iorio è viva allora come oggi – e accompagnarla al rogo serve a mettere a tacere la nostra paura segreta di trovarci un giorno, nostro malgrado, al suo posto. Molto meglio credere che, se è finita lì, è stato per colpa sua.

 

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Recensione di
MaddalenaErre
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2 commenti
  • come promesso, eccomi a leggerti. ho dei pregiudizi verso D’Annunzio che non mi hanno mai spinto a leggerlo (se non quello proposto a scuola). forse dopo la tua recenzione cambierò idea. intanto lo annoto nella mia lunghissimi lista dei libri da leggere.
    ciao
    Carolina

  • Quando penso a D’Annunzio (e mi tocca pure insegnarlo!) mi vengono in mente innanzitutto quei suoi deliri “superomistici” che fanno rabbrividire e che sono stati tra gli ispiratori dell’ideologia fascista. Peraltro la scrittura dannunziana è spesso pervasa di una morbosità e di una ridondanza retorica che non incontrano assolutamente il mio gusto. Le rare perle della produzione dello scrittore non bastano a riabilitarlo moralmente ai miei occhi (artisticamente, solo in parte), anche se sono consapevole del loro valore.
    Come sempre, però, ci hai regalato un punto di vista interessante, stimolante, “diverso”. Grazie dunque davvero per questa tua recensione.

Recensione di MaddalenaErre