Macchine come me – Ian McEwan

Già dalle prime righe è tutto un piacere di sinapsi: McEwan mi costringe sempre a cercare il significato di parole mai lette prima, ad informarmi su fatti storici di cui so troppo poco e a tradurre citazioni latine che si scopriranno poi essere l’essenza dell’intero romanzo.
È uno stile come sempre forbito, elegante, a tratti accademico.
Anche grazie a tutta questa bellezza di vocabolario i primi capitoli mi hanno tenuta incollata al libro; non vedevo l’ora di terminare la lettura eppure la rallentavo volontariamente perché non volevo che finisse subito: classico problema del lettore quando incontra un bel libro.

Ma veniamo alla trama: con l’eredità che gli ha lasciato la madre, Charlie Friend decide di acquistare uno dei primi androidi sul mercato – dei robot alla Westworld per intenderci – : Adam è incredibile, perfettamente identico agli umani ma con una capacità di apprendimento illimitata e un’altrettanta conoscenza. Adam ha una personalità da installare e Charlie decide di coinvolgere in questo compito delicato anche Miranda, bella e spigliata vicina di casa, sperando che questo possa aiutarlo a conquistarla definitivamente.

CAVEAT EMPTOR!

A livello temporale siamo in un passato che in realtà è un futuro perché nel 1982 esistono già cellulari e macchine come meinternet e oltretutto la storia inglese non sembra essere la stessa che ricordiamo: i Beatles si sono riuniti dopo una breve separazione, Alan Turing non solo è ancora vivo ma ha un ruolo chiave nella sviluppo tecnologico del paese e la Corona inglese ha perso la guerra delle Falklands.

La voracità della lettura si interrompe circa a metà libro: dopo l’installazione e le prime attività di Adam che seguiamo con meraviglia insieme ai protagonisti, il focus della storia si sposta sulla narrazione fantapolitica che rende la seconda parte del romanzo più lenta e anche meno interessante rispetto al cuore pulsante del romanzo ovvero Adam.

Mi aspettavo che McEwan approfondisse il tema della coscienza, dell’etica e dei sentimenti ma, quando Adam si dichiara innamorato di Miranda o quando utilizza la sua onniscenza per prendere decisioni eticamente integerrime ma umanamente terribili, la sviluppo narrativo risulta superficiale: le pagine dedicate all’androide risultano essere in minoranza rispetto a quelle che l’autore dedica al suo gioco di immaginare una storia diversa per il suo paese.
Un vero peccato: qualche pagina in più e un maggiore coinvolgimento della vita degli androidi avrebbero reso questo libro un vero e proprio capolavoro.

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Recensione di
Sara D'Ellena

«La mia intenzione è raccontare una storia: in primo luogo perché la storia viene da me e vuol essere raccontata.» Philip Pullman.
Raccontare storie e costruire librerie (immaginarie ovvio!) è la mia passione e la mia unica missione.

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