Jack Frusciante è uscito dal gruppo – Enrico Brizzi

Questo è un libro che ha significato molto per me. Quando è stato pubblicato avevo appena dieci anni, quindi l’ho letto solo qualche anno dopo – ma l’onda lunga di questo romanzo semplice e intenso non si era ancora spenta. Qualche sera fa, in un momento di noia, mi è capitato per caso di rivedere qualche scena del film che ne è stato tratto, e ho scoperto con stupore che le emozioni erano ancora tutte lì, sotto la superficie. Non è cambiato niente.

Quella tra Alex e Aidi è una storia d’amore che accade un attimo prima. Prima di che cosa? Prima dei cellulari, degli sms, di internet, delle chat, delle foto su Instagram, di Facebook, dei voli low cost, quando le vacanze studio all’estero erano ancora l’eccezione e non la regola, se il motorino ti lasciava a piedi dovevi cavartela chiamando dal telefono a gettoni e l’andare a vivere da soli era un traguardo lontano anni luce, del mondo dei grandi. Quello che rende speciale questa storia – per molti altri versi ordinaria – è proprio il fatto che accada davvero un attimo prima che il mondo e il modo di comunicare cambino completamente, tramite nuovi mezzi che avrebbero probabilmente cambiato anche il suo epilogo struggente e malinconico.

Invece no. Aidi chiama ancora Alex sul telefono fisso e lui risponde “sì, sono io” – cosa che con i cellulari non accade più, è ovvio che sei tu! – e l’unico modo che ha lui per farle ascoltare la sua musica preferita è registrarle una cassetta col mangianastri – niente cuffiette bianche dell’Ipod da condividere, non ancora. La dichiarazione d’amore tutta storta e impacciata non la si scrive sul wall di Facebook, ma sul vero muro di mattoni di fronte a casa di Aidi, con le bombolette e la paura che arrivi qualcuno a sorprenderti sul più bello. Le lettere si devono scrivere per forza a mano, affidandole a improbabili cupidi compagni di scuola, e non via email – perché il World Wide Web è ancora appannaggio di pochissimi. Insomma, una storia d’amore vecchio stile che racconta un mondo adolescenziale che esisterà ancora per poco tempo.

Alex e Aidi, sullo sfondo di una Bologna giovane e struggente, si conoscono, si scoprono a poco a poco, cominciano a volersi bene. Lei però è un po’ strana, solitaria, diversa dalle altre e – soprattutto – molto probabilmente partirà per studiare un anno in America. Oggi questo sarebbe un ostacolo da niente – appunto perché i nuovi mezzi di comunicazione hanno ridotto il mondo alla dimensione di un fazzoletto – ma allora, senza Skype né email e con l’unica prospettiva di comunicare via posta aerea o linea telefonica fissa troppo cara per le tasche di uno studente (non parliamo nemmeno del costo improponibile dei voli di linea, gli unici disponibili allora) si trasforma in un muro di ferro invalicabile. Tra riavvicinamenti, impacciati addii, lacrime, canzoni e dediche, amici che si mettono in mezzo, amici che se ne vanno per sempre, Alex e Aidi condividono una parte della loro vita crescendo insieme, lasciando la fine di questa storia romantica e acerba sospesa tra l’ultimo mezzo bacio e il tramonto che Alex affronta per l’ultima volta in bicicletta, dopo averla salutata prima della sua partenza.

Non è da me esaltare i tempi che furono per partito preso – anzi, è un atteggiamento che spesso mi infastidisce, perché credo fermamente che per moltissime cose sia meglio adesso. Però, chi come me è riuscito ancora a vivere – anche se solo per un paio d’anni – a cavallo tra il mondo di prima e quello di adesso, non potrà non commuoversi un poco di fronte a questa storia semplice ma speciale, quella – come recita la quarta di copertina – “che tutti abbiamo vissuto, o vogliamo credere di aver vissuto”.

Brizzi, che nonostante le successive buone pubblicazioni non è mai riuscito a bissare l’enorme successo di questo libro, è tra i precursori di quello stile di scrittura senza punteggiatura e fatto di pensieri più che di azioni e descrizioni, basato sul flusso di coscienza, che esploderà definitivamente nella seconda parte degli anni Novanta e nei primi del Duemila. Un piccolo grande classico, capace di raccontare l’adolescenza e i suoi struggimenti come pochi altri hanno saputo fare.

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Recensione di
MaddalenaErre
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11 commenti
    • il film, come spesso accade, è un po’ deludente…però c’è uno Stefano Accorsi giovanissimo che da solo merita l’intera pellicola ;)

  • Mio padre trovò questo libro tanti anni fa in una cabina telefonica. Conoscendo la mia psicosi da libri lo portò a casa anche se la copertina era mezza strappata e le pagine erano talmente ingiallite da far impallidire le dita di un fumatore.

    Lo conservo ancora, tutto strappato, tra i miei libri migliori. Quella storia così semplice mi ha lasciato dentro qualcosa ed è un libro che mi piace associare a Due di Due di De Carlo. Forse per la genuinità della situazione o forse perché sono romanzi che fanno parte di una generazione di qualche anno prima della mia e che sento di aver mancato veramente per un soffio! :)

    • …ma che bella storia :) voglio trovare anche io un libro così in una cabina telefonica (in quelle poche rimaste, voglio dire…)

      la sensazione che provi è la stessa che provo io, che mi ha portato a scriverne…credo sia comune a molti nati nella seconda metà degli anni Ottanta: siamo davvero cresciuti in bilico tra due mondi…

  • quanti ricordi mi avete fatto tornare in mente con questa recensione… e non solo perché il libro l’ho letto, riletto e di nuovo riletto ma anche (e soprattutto) perché faccio parte della generazione di Alex e Aidi… e nella loro storia rivedo un po’ anche la mia (con i dovuti distinguo, s’intende ;) )

  • L’esordio di Enrico Brizzi; si dice che il libro abbia visto la luce e guadagnato il successo grazie al passa parola.
    Concordo con MaddalenaErre per il fatto che Stefano Accorsi merita e vorrei aggiungere che anche Violante Placido merita, ma qualche schiaffone, la sua Aidi non regge con quella del libro.

    • confermo…io la trovo bellissima, ma diciamo che non è mai stata una grande attrice, ancor meno all’epoca ;)

  • Non dovevo leggermi Uno, Nessuno, Centomila, non dovevo. La letteratura “da grandi” mi ha sempre, da allora, giovincello, tenuto lontano da leccature adolescenziali che non avrebbero né aggiunto né tolto nulla ai miei sogni di adolescente. Non avrebbero, perché palesamente evidenti nei fini dalla prima pagina (non amo lasciarmi fregare così palesemente), troppo leccalecca per condurmi nel mondo della sospensione dell’incredulità che è la realtà del Mito. Ecco perché adoro Verne, o il Saint-Exupery del Piccolo Principe, ma non riesco a leggere più di qualche pagina di jack Frusciante… Insomma quel modo di scrivere privo del minimo “dubbio” sulla struttura delle realtà, del lettore, della vita, dell’universo, che porta poi al vero rischio, a nuove scoperte, anche stilistiche, che non siano uno dei tanti ritorni di rococó nella storia dello stile.
    Non è un caso che Brizzi non sia andato “oltre”, viste le premesse. L’immortalità si paga con il sangue.

    • …qualcuno, ora non mi ricordo chi, ha detto “a Brizzi serviranno almeno dieci anni per farsi perdonare Jack Frusciante”. Decisamente vero. Cominciare qualcosa di nuovo, al di là del valore intrinseco, è sempre un rischio.

      Grazie per il commento sentito e pensato, offre davvero molti spunti di riflessione sulla letteratura e non solo :)

  • Guardai il film e, nonostante avessi un certo insensato pregiudizio, mi sorpresi a seguirlo tutto con curiosità.
    Così, quando sono inciampata nel libro, l’ho comprato :)
    Ancora non letto…
    Io sono una nostalgica, sicuramente apprezzerò moltissimi di questi elementi che si rievocano nella storia.

Recensione di MaddalenaErre