Indignazione – Philip Roth

Tra gli scrittori celebri possiamo rintracciare caratteristiche differenti. Ve ne sono alcuni il cui stile è caratterizzato da brevi frasi ad effetto, che agevolmente possono essere estratte fuori dal contesto e continuare ad avere un valore. Un esempio può essere Chuck Palahniuk, di cui recentemente il Post ha pubblicato alcune citazioni. Tali frasi possono avere maggiore presa su un pubblico più giovane, sia anagraficamente parlando sia in merito all’esperienza come lettore, e rimangono più facilmente impresse nella mente, ad esempio degli avidi lettori di fumetti, caratterizzati da poche frasi che accompagnano immagini e azioni.

D’altro canto, vi sono scrittori che preferiscono utilizzare descrizioni più ricche, benché scorrevoli e senza una parola più del necessario. E’ il caso di Philip Roth.

All’interno di “Indignazione” veniamo trasportati nel mondo di Marcus Messner, nativo della “solita” Newark di Roth, che lascia la sua cittadina natale per il college. Marcus ha umili origini e porta con sé l’esperienza lavorativa nella macelleria di famiglia. Tornando alle considerazioni di cui sopra, Roth riesce a farci sentire all’interno del negozio dei Messner tramite una descrizione precisa dell’ambiente. Annusiamo l’odore di segatura per terra, sentiamo il grembiule legato attorno alla vita macchiato di sangue, percepiamo l’impatto del coltellaccio sull’osso di una costata e sul tagliere.

Che dire poi dell’introspezione? La mente del giovane si scontra con le prime esperienze nel college: la convivenza con i compagni di stanza, il sesso, le associazioni, regole e consuetudini dell’istituto. Tutto è nuovo per il ragazzo, che sembra l’unico a non riuscire e a non voler adattarsi all’ambiente. Tutti gli altri ragazzi sembrano più esperti di lui delle cose del mondo, mentre Marcus rimane interdetto dalle diverse personalità che incontrerà, ognuna delle quali sarà per lui motivo di scontro. Sullo sfondo, due fantasmi: la personalità invadente del padre e il futuro incerto, rappresentato dalla guerra in Corea. Un po’ la storia di ognuno di noi.

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Recensione di
Antonio Soncina

Odio i best seller, soprattutto se di sfumature rosa, gialle o grigie. Ai classici preferisco storie contemporanee. Posso sopravvivere senza il rinomato "odore della carta" ma non con il Kindle scarico.

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3 commenti
  • Non so come dirlo perché suona come un’eresia, ma Indignazione non mi è piaciuto. A cominciare dal titolo, che trovo incongruo: Vittimismo stava meglio. Perché a me quel Markus ha fatto l’impressione di un piccolo nevrotico frustrato da un complesso di persecuzione. Ci sarebbe stato ben altro di cui indignarsi: la guerra di Corea dove morivano o uscivano pazzi tanti suoi coetanei. Lo avrei voluto vedere in piazza a manifestare, non in camera a piagnucolare. Insomma, troppa introspezione e troppo poca concretezza. Un lungo monologo autoreferenziale e sterile, un po’ nello stile dell’ebreo incazzato con il mondo. Avrei voluto cogliere almeno un significato antimilitarista, ma se c’è è molto sottinteso.

    • Melusina, hai perfettamente ragione: il tema della guerra non è affrontato, se non collateralmente, come già in Nemesi. Di contro però, come già scritto, il romanzo parla di tutt’altri temi, più d’introspezione, come dici tu. Forse li ho più cari perché mi sono trovato spesso ad affrontare spostamenti e cambiamenti di consuetudini, amici, ecc., dato che ho cambiato città una decina di volte.

      Al termine “Indignazione” del titolo, secondo me, l’autore dà un’accezione ironica, sia nell’originale appartenenza all’inno cinese, in quanto gli inni non sono altro che slogan di propaganda, a voler sintetizzare, sia per i sentimenti del Messner alla sua prima esperienza sessuale. Qui mi permetto di aggiungere “Chi ha il pane e non ha i denti”, dato che il sogno di molti ragazzini inesperti, ovvero incontrare ragazze più esperte che li introducano al mondo del sesso, viene respinto dall’etica del protagonista, che così facendo respinge la stessa Olivia, creatura dolce, ma fragile e bisognosa di aiuto, e in questo senso, come dici tu, Markus è davvero un piccolo egoista nevrotico.

      D’altronde de gustibus ;^) Ciao e un abbraccio.

  • Invece io preferisco i romanzi più recenti di Roth ai primi.
    Nemesi mi è piaciuto tantissimo.
    Mi sembra che nell’ultima produzione sia meno pippocentrico, meno figocentrico, meno ebreocentrico; che si sia alleggerito, che si sia fatto un clistere delle sue ossessioni …
    ossessioni che a mio gusto, dopo un po’ … a dirla tutta … tanto per essere roth-dissacranti …
    … che trituramento di palle!

Recensione di Antonio Soncina